Chi c’era, chi lo ha vissuto, chi era bambino e ne ricorda i momenti, attimi interminabili, ricorda anche i particolari e ciò che stava facendo in quell’istante. Era una domenica sera, la Rai faceva vedere in differita la partita Juventus – Inter giocata quel pomeriggio, le famiglie si apprestavano a prepararsi per la cena, i bambini preparavano le loro cartelle, consapevoli che il giorno dopo sarebbe cominciata un’altra settimana di scuola. Era il 23 novembre del 1980, l’orologio scandiva le 19:34.
Effettivamente, la giornata era stata troppo calda per quella stagione autunnale. La terra tremò all’improvviso, senza scosse di preavviso, un boato improvvisamente e un cupo e allo stesso tempo assordante rumore, lungo circa novanta secondi, si sentì in Campania e Basilicata, l’epicentro in Irpinia. Solo un minuto e mezzo, interminabili secondi che rasero al suolo interi paesi provocando circa 3.000 morti, 9.000 feriti, 280.000 senza tetto e 150.000 abitazioni distrutte, oltre che interi paesi isolati per giorni e giorni. Il terremoto ebbe una magnitudo 6,9 della scala Richter, fino al X grado della scala Mercalli.
Il sisma fu avvertito in tutti territori attorno all’Irpinia, nel Salernitano, nel Sannio e anche a Napoli e tutti si riversarono in strada per trascorrere la notte. Le tre province maggiormente colpite furono quella di Avellino, quella di Salerno e quella di Potenza. Nella fascia epicentrale furono circa 20.000 gli alloggi distrutti. In altri 244 comuni dei territori limitrofi altri 50.000 alloggi subirono danni gravissimi, mentre 30.000 subirono danni di lieve entità. A Napoli, precisamente a Poggioreale e in via Stadera, crollarono delle palazzine fatiscenti, da cui alcuni morti.
Oggi sono trascorsi trentanove anni, ma è vivo come fosse accaduto ieri il ricordo di quella serata e delle settimane che seguirono, in cui si vide uno Stato assolutamente impotente dinanzi a tale disastro, uno Stato a dir poco “imbambolato”, incapace di coordinare i soccorsi, tardivi e insufficienti.
Il primo a far presente questa grave situazione dei soccorsi fu il presidente della Repubblica Sandro Pertini che due giorni dopo si recò in elicottero sui luoghi della tragedia e di ritorno da quel viaggio fece un discorso alle autorità e alla popolazione che riuscì a mobilitare un gran numero di volontari che portarono un grande aiuto.
Memorabile fu il titolo in prima pagina del quotidiano campano “Il Mattino” che così diceva: “FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla”. L’opera dei volontari fu in seguito riconosciuta con una cerimonia pubblica loro dedicata in Campidoglio, a Roma.
Molti Paesi esteri inviarono il loro contributo economico per i primi aiuti. Oggi, trentanove anni dopo, l’Irpinia conserva solo piccolissime tracce di quel disastro e in Basilicata è stato ricostruito il 90% circa delle abitazioni private. Lo Stato mise in campo anche un grandissimo piano per la realizzazione di nuove infrastrutture e aree industriali: tredici in Campania e sette in provincia di Potenza.
In queste aree industriali si insediarono centinaia di imprese molte delle quali ebbero vita difficile e chiusero la loro attività. Per l’entità della catastrofe e per il numero di vittime e sfollati, il terremoto dell’Irpinia è stato uno dei più disastrosi che abbia colpito l’Italia nel XX secolo, insieme a quelli di Messina e Reggio Calabria nel 1908, di Avezzano nel 1915 e del Friuli nel 1976. In termini di magnitudo, il terremoto è stato uno dei più forti degli ultimi cento anni in Italia, e solo quello del 30 ottobre 2016 nel Centro Italia gli è arrivato vicino, con una magnitudo 6,5.
Giornalista