Non è Natale senza addobbi, un tempo si cominciava a respirare l’aria natalizia l’8 dicembre, giorno dedicato all’Immacolata Concezione, ma ora ci si anticipa in base alle proprie esigenze e alle tradizioni familiari che ognuno di noi ha sviluppato. Luminarie sui balconi e nei giardini, grandi o piccoli alberi di Natale secondo la tradizione del Nord Europa, il Presepe presente soprattutto nelle case del centro-sud, nato grazie a San Francesco d’Assisi ma diffusosi specialmente grazie ai maestri della scuola presepiale napoletana. Questi sono i simboli natalizi che accomunano un po’ tutta Italia, da Nord a Sud. Vi sono case in cui non è Natale senza Presepe, altre in cui a farla da padrone è un piccolo o maestoso albero, in altre sono presenti entrambi, spesso un piccolo Presepe ai piedi dell’albero, laddove in molte altre case sono presenti i doni da scartare la notte della nascita di Gesù Bambino.
Una delle tradizioni che rendono magica l’atmosfera del Natale nel centro-sud è quella delle strade che si riempiono delle melodie intonate dagli zampognari, che altro non rappresentano che pastori che con i loro abiti tradizionali scendono dalle montagne e che con le loro zampogne, una specie di cornamuse, intonano musiche natalizie. Spesso suonano tra le strade dei quartieri, a volte bussano di porta in porta e vengono accolti da bambini estasiati e adulti che si perdono in una malinconica poesia tra le note da loro suonate.
Chi porta i doni di Natale? I doni generalmente vengono portati da quel simpatico e buffo amico dei bambini che viaggia dal Polo Nord su una slitta trainata da otto renne, Babbo Natale, anche se in alcune zone del Nord come Verona, Brescia, Bergamo, resiste la tradizione di Santa Lucia in groppa al suo asinello.
Un tempo, in un’epoca certamente meno consumistica, era invece Gesù Bambino a portare i doni fino a quando, essendo diventati molti i regali da portare a ogni bambino, si vide nel neonato Gesù una figura troppo piccola e poco forzuta per portare una certa mole di doni.
Il ceppo di Natale in Italia è un’antica tradizione sentita per lo più nel passato in Lombardia in cui era conosciuto anche come “zocco”, mentre in Toscana veniva chiamato “ciocco”, soprattutto nella zona della Val di Chiana. Il capofamiglia, a seguito di un brindisi, metteva a bruciare nel camino di casa un grosso tronco di legno che veniva poi lasciato ardere fino all’Epifania. Del ceppo se ne conservava una parte come buon auspicio per l’anno successivo.
Molto sentito è il periodo dell’Avvento: diffusissimi in tutta Italia sono i calendari dell’Avvento, con tasche o cassettini che vengono aperti dall’1 al 24 dicembre, facendo scartare ogni giorno un cioccolatino, una caramella o un piccolo regalo. In Trentino Alto Adige, l’Avvento è davvero molto speciale: una consuetidine particolare è quella della Corona dell’Avvento in cui ogni famiglia realizza una corona con un intreccio di rami di abete e nastri rossi di seta; su di essa vengono inserite quattro candele e ogni domenica precedente il 25 dicembre ci si riunisce a tavola accendendone una.
L’Italia si divide soprattutto tra coloro che danno più importanza alla cena della Vigilia e coloro che invece esaltano il pranzo di Natale. In alcune case non possono mancare ambedue le tradizioni. Al Centro e al Sud si festeggia di più la Vigilia, nel Nord è più sentito il giorno di Natale ma anche tra paesini confinanti vi sono discordanze in merito e addirittura abitanti della stessa città hanno abitudini diverse. Spesso la cena della Vigilia è seguita dallo scarto dei regali a mezzanotte, dopo un brindisi augurale ai piedi di un albero riscaldato dal camino e dalla gioia dei bambini trepidanti, a volte dopo la cena si presenzia alla Messa di Natale oppure ci si accomoda attorno al tavolo sparecchiato per fare le ore piccole giocando a tombola e mangiando torroncini.
Il Cenone della Vigilia è rigorosamente a base di pesce mentre il pranzo di Natale è prevalentemente a base di carne, più ricco e meno raffinato del cenone della Vigilia. Spesso lo scarto dei regali avviene dopo o durante il pranzo che può durare anche ore attorno a una grande tavolata piena di parenti che si ritrovano anche dopo tanto tempo per la festività.
I piatti tipici del Natale in Italia sono tantissimi e variano da regione a regione. Ricordiamo la polenta con il baccalà e il lesso con salsine nel Veneto, l’anguilla al cartoccio in Lombardia, gli agnolotti e il bollito condito con salse in Piemonte, la carbonade di carne di manzo cotta al vino rosso in Valle d’Aosta, canederli e capriolo in Trentino, tortellini e passatelli in brodo in Emilia Romagna, il brodetto alla termolese in Molise, oppure quello alla vastese in Abruzzo, fegatini e arrosto di faraona o il cappone ripieno in Toscana, gli spaghetti con le vongole, il brodo di cappone o cappone imbottito in Campania, i colurgiones de casu, ossia ravioli ripieni, e i malloreddus, tipici gnocchetti, in Sardegna, la gallina in brodo e la pasta con le sarde in Sicilia e tanto fritto di pesce e verdure pastellate come broccoli, carciofi, zucchine nel Lazio. Per il pranzo del 25 in buona parte del Centro e del Sud Italia non mancano mai lasagne o cannelloni, e pollo o maiale al forno, oltre alle alici fritte.
Una costante di tutte le tavole italiane sono la frutta secca e i dolci e non mancano mai il panettone, il pandoro e il torrone.
Il panettone è un dolce di Milano che forse esisteva già nel 1200 ma la sua storia si perde tra leggenda e realtà e, secondo una tradizione, a Milano bisogna conservare un pezzo del panettone del pranzo di Natale e mangiarlo a digiuno il 3 febbraio, giorno di San Biagio, insieme alla famiglia come rito propiziatorio contro mal di gola e raffreddore. Si racconta che questo dolce sia nato casualmente per mano del garzone di un fornaio che, per rendere il pane più sostanzioso visto il freddo invernale e la scarsità di cibo, decise di arricchirlo aggiungendo uova, burro e frutta candita, regalando così al mondo un dolce che con i secoli sarebbe diventato uno dei simboli più conosciuti delle festività natalizie.
Il pandoro ha origini veronesi e piace soprattutto a chi non è amante di canditi e impasti ripieni. Nel 1894 però fu Domenico Melegatti a depositare la ricetta all’ufficio brevetti e la sua tipica forma a stella a otto punte è opera del pittore impressionista Angelo Dall’Oca Bianca. Il torrone pare avere origini che si perdono nella notte dei tempi, a Benevento veniva preparato già dai Sanniti, e il suo nome deriva dal latino torreo, abbrustolire, in riferimento alla tostatura delle nocciole che si trovano all’interno di questi simpatici e golosissimi dolci natalizi. Oggi ne troviamo di morbidi e duri, in base alla cottura dell’impasto e al rapporto tra miele e zucchero. Particolarmente buoni quello campano, quello di Cremona, il torrone sardo ma anche la cubaita di Caltanissetta o il torrone tenero al cioccolato di Sulmona.
Oltre a questi classici dolci natalizi, ogni regione ha i suoi dolci tipici.
In Liguria troviamo il pandolce genovese realizzato con acqua, farina, uvetta, canditi e pinoli, in Campania gli struffoli, palline di pasta dolce fritte nell’olio o nello strutto e poi decorate con frutta candita e confettini colorati, in Puglia i mostaccioli, speziati e spesso ricoperti con una glassa di zucchero o di cioccolato. In Toscana non manca mai il panforte con mandorle, scorze di agrumi canditi, farina, miele e spezie, o i cantucci morbidi, nel Lazio il Panpepato, un impasto a base di frutta secca, uva passa, miele, canditi e cioccolato, e leggermente piccante. Ci sarà in motivo per cui durante le festività natalizie si tende a mettere su sempre qualche chilo? Beh, qualsiasi sia il piatto principale che padroneggerà sulla vostra tavola illuminata per le Feste, il solo augurio è che regnino serenità e pace e innanzitutto che, grandi e piccoli, si lascino sopraffare dalla magia del Natale.
Giornalista