Immagini dal Sannio: l’itinerario dell’acqua del Matese

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Il Lete è uno dei principali fiumi della Campania, lungo circa 20 km, nasce a Letino, nel cuore del Matese, in località Campo delle Secine, ai piedi del monte Janara a 1028 m.s.l.m., con una temperatura di 8 °C e si ingrossa man mano prendendo le acque di diverse sorgenti, precisamente 57, affluendo poi nel fiume Volturno nei pressi di Ailano. Ė un fiume dalla bellezza tutta particolare: scorre sotterraneo per circa 500 metri formando un gran numero di cavità naturali, una folta vegetazione e pozzi d’acqua, dislivelli e piccole cascate che precipitano verso la Valle del Volturno. Le acque sono sempre fresche e conservano costantemente un tasso piuttosto elevato di ossigeno. Infatti, nelle acque dei due laghi artificiali formati dal fiume e nel corso del fiume stesso si trovano trote, anguille, gamberi di fiume, carpe, tinche, e un tempo vi erano crostacei dal guscio bianco senza occhi, la cui sopravvivenza è minacciata su tutto il territorio nazionale: si tratta di organismi estremamente sensibili a ogni forma di inquinamento tanto da poter essere considerati dei veri indicatori della qualità delle acque. In passato, questi crostacei dovevano essere molto comuni nel Lete: fino a qualche decennio fa, soprattutto all’imbrunire, sulle rive del torrente se ne incontravano a centinaia ed era estremamente semplice catturarli, anche a mani nude, per poi consumarli crudi o cotti. Molti sono gli insetti e, specie nei periodi estivi, sono presenti numerosi uccelli acquatici, come marzaiole, germani reali, folaghe.

Sono moltissimi i miti e le leggende che rimandano a questo fiume a cominciare dalla mitologia greca e romana che lo definisce “il fiume dell’Oblio”. Anticamente chiamato Ete, secondo una tradizione romantica, il Lete prende il nome da una principessa longobarda di nome Letizia che, bagnandosi nel fiume, trovava ristoro nella “dimenticanza” delle sue pene d’amore. Viene citato nel X libro de La Repubblica di Platone e dal poeta greco Esiodo nel poema Teogonia, in cui il Lete forma una coppia di opposti inseparabili con Mnemosyne, dea della memoria. L’Eneide di Virgilio, nel VI libro, dice che le anime dei Campi Elisi vi si tuffano quando devono reincarnarsi dimenticando, in tal modo, le vite passate e questo fiume dell’Oblio viene menzionato anche da Dante Alighieri nel Purgatorio, in questo caso con il nome Letè: situato nel paradiso terrestre accanto al fiume del ricordo delle cose buone, Eunoè, sul monte del Purgatorio, viene immaginato da Dante come il luogo in cui le anime purificate si lavano per dimenticare le loro colpe terrene prima di salire in Paradiso.

Non dobbiamo assolutamente dimenticare che il fiume Lete dà origine alla famosissima “acqua Lete” imbottigliata e presente sulla maggior parte delle tavole italiane e del mondo. Nel comune di Pratella si trova lo stabilimento di imbottigliamento dell’acqua Lete. Già dall’Ottocento, l’acqua veniva raccolta dalla sorgente in anfore di terracotta e trasportata su carri di legno in tutta la regione Campania. Agli inizi del XX secolo, l’acqua ottenne i primi riconoscimenti a livello internazionale e ben presto, dalla produzione artigianale, si passò ai primi impianti di imbottigliamento.

Ed è proprio a Pratella che comincia il nostro percorso dell’acqua nel cuore del Matese. Il borgo, antico insediamento sannita e poi romano dell’Alto casertano, offre ai suoi visitatori un territorio ricco di storia e di biodiversità proprio grazie alla grande presenza di corsi d’acqua, con scenari unici. Dalle fonti poste nel territorio sgorgano acque solfuree-ferrose, ricche di minerali come il calcio e il magnesio, che hanno un elevato potere terapeutico, molto efficaci soprattutto nei processi digestivi e riconosciute come acque tra le migliori d’Italia. Le acque sono a completa disposizione degli abitanti e dei visitatori e un tempo venivano utilizzate per scopi termali. Oltre alle grotte, al teatro di roccia e all’antico tratturo di via Pastenelle che sono i luoghi preferiti da chi visita Pratella, si può passeggiare sulle sponde del fiume Lete dove sono presenti piante spontanee usate fino a qualche anno fa come parte integrante dell’alimentazione e delle cure mediche. Il Galium mollugo veniva adoperato per cagliare il latte e farne del formaggio, la Sanguisorba minor veniva adoperata come un’ovatta naturale, e le foglie di Bardana in caso di affezioni cutanee come foruncoli, acne, herpes, ustioni, oltre che per rinforzare i capelli.

Seguendo il corso del fiume arriviamo a Prata Sannita, borgo in cui è possibile visitare le elegantissime e ancora intatte mura turrite e il castello, situati sul costone di una collina ai piedi del Monte Favaracchi che domina la Valle del fiume Lete. Dominato dai sanniti, il borgo era posto lungo l’asse viario che permetteva di raggiungere importanti città quali Boiano e Isernia. Dopo le guerre sannitiche, anche Prata subì gli influssi della dominazione romana. Il castello sorge su un costone roccioso che domina sul borgo medievale; fu fondato poco prima dell’anno Mille a opera delle truppe saracene. Nulla sopravvive dell’impianto antico, mentre le strutture oggi visibili risalgono al XIV secolo e sono frutto dell’architettura angioina, il cui maestoso e solenne aspetto traspare nella struttura militare delle sue quattro torri cilindriche che superbamente si elevano al cielo. Divenne centro culturale importante e vi affluirono numerosi giovani appartenenti alle più nobili famiglie, tra i quali l’imperatore Federico II di Svevia e insieme a lui raggiunsero il maniero i Templari, i cavalieri del Santo Sepolcro e i cavalieri teutonici. Nella Torre Piccola del Castello si trovano il “Museo della Prima e della Seconda Guerra Mondiale”, il “Museo della Civiltà contadina”, il “Museo del vasaio”. Ai piedi del borgo, in località Porta di Lete, è presente un ponte medievale, costruito su un preesistente ponte romano che permetteva di attraversare il fiume Lete e di raggiungere i paesi vicini. Nel pressi di questo ponte si trova un antico mulino ad acqua, recentemente ristrutturato, dove fino agli anni Cinquanta si macinava il grano e altri cereali prodotti in loco e che presto diventerà un Museo di Archeologia industriale.

Gli amanti del trekking non potranno non innamorarsi del Borgo di Fontegreca. Un’atmosfera accogliente e familiare lo caratterizza, tra i cui vicoli e le scale che si intrecciano si possono osservare bellissime case rurali che conservano ancora il loro antico impianto, realizzate in pietra locale. I suoi scorci panoramici si affacciano su un paesaggio selvaggio e incontaminato. Nel comune di Fontegreca si estende l’omonima Cipresseta autoctona, per circa 33 mila ettari. Si tratta di spazi immensi che vantano origini antichissime, probabilmente i cipressi qui piantati sono stati posti in epoca pre-romana, in corrispondenza di luoghi sacri alle popolazioni locali. La Cipresseta ospita uno dei più vasti complessi di grotte d’Italia, circa 200, da cui affiorano sorgenti naturali provenienti dalle acque sotterranee. La foresta è costituita al 90% da Cipressi horizontalis, una delle poche specie di questi alberi a resistere al cancro della corteccia, patologia che recentemente ha messo a rischio l’esistenza dell’intera razza. Il legno del cipresso viene utilizzato da millenni per la costruzione di imbarcazioni perché vanta un’elevatissima resistenza all’umidità, durezza e compattezza. Nella Cipresseta predominano il Carpino bianco, la Roverella, il Leccio e l’Orniello. Nella Cipresseta vi è una diversità animale di tutto rispetto, tra mammiferi e rapaci. Pipistrelli, tassi, volpe rossa, cinghiali, donnole, faine, ricci, crivette, gufi, barbagianni, assioli, poiane, nibbi e gheppi, oltre a tordi, colombacci, ghiandaie e corvi, ecco gli abitanti del posto! L’intricato sistema di grotte sotterranee rappresenta una tappa fondamentale per tutti gli appassionati di speleologia. Il cuore della Cipresseta custodisce un luogo sacro: una grotta dove si racconta che, nel corso del ‘700, due giovani pastori videro l’immagine della Madonna oggi conservata nel Santuario della Madonna dei Cipressi, meta di pellegrinaggio, che si trova all’ingresso del Bosco degli Zappini, fatto costruire per volontà di un gruppo di monaci che qui si stanziarono prima del 1600 presso il corso del fiume Sava.

Da una salita che parte da Fontegreca arriviamo alla quarta tappa del nostro itinerario delle acque: siamo a Gallo Matese che, secondo alcuni studiosi, è stato fondato dai Sanniti, mentre altri ritengono che i fondatori siano stati i Bulgari. Gallo Matese viene apprezzato molto da chi ama praticare attività sportiva. Il suo piccolo centro storico si sviluppa su di un colle, a ridosso di una antica torre militare normanna, di cui restano poche tracce. È costituito da antiche case in pietra locale, fra le quali si incontrano due chiese: San Simeone e la Ave Gratia Plena, che ha una facciata con portale del XVIII secolo, ma di gusto tardo barocco su cui spicca una finestra sagomata a cassa di violino dove si può notare un’antica campanella. Le piazze del borgo, i vicoli e la “Terrazza del tiglio e del noce” ospitano, ogni anno, rassegne di danza, teatro e musica, eventi che esaltano la caratteristica bellezza di questi luoghi senza tempo. La Forra del Pesco Rosso è uno dei luoghi più attrattivi del Matese: un contrafforte calcareo costituito principalmente da ferrite, che determina il particolare colore rosso della parete, da cui il nome. La forra si sviluppa per oltre un chilometro e presenta un dislivello di circa 300 metri.
Il lago di Gallo Matese è un lago artificiale, creato dallo sbarramento del corso del fiume Sava, nato negli anni Sessanta. Questo luogo splendido e incontaminato, grazie anche alla presenza dei vicini laghi di Letino e Matese, è stato definito la “piccola Svizzera Matesina”, meta molto apprezzata dagli appassionati di canoismo e di carpfishing, un tipo di pesca sportiva diffusasi soprattutto negli ultimi anni. Le sue acque vengono utilizzate per alimentare la centrale idroelettrica dell’ENEL di Capriati al Volturno. Ha un colore cangiante verde/azzurro, è formato da ben 19 milioni di metri cubi d’acqua. Gallo Matese è terra di patate e di miele e le api allevate per produrlo trovano il loro habitat ideale proprio in questi territori incontaminati. Celebri sono fagioli di Gallo, con il loro sapore delicato, ingredienti principali del frattaccio, un tipo di polenta locale, e di zuppe e di minestre.

Arriviamo a Letino paese che ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di Bandiera Arancione, assegnata dal Touring Club Italiano, riconoscimento riservato alle piccole località dell’entroterra italiano. Qui è presente un castello situato su una collina a 1.200 metri s.l.m., realizzato nell’XI secolo d.C. nel luogo dove originariamente sorgeva una torre di avvistamento risalente al III secolo d.C. e che ospitava una guarnigione che doveva sorvegliare la zona dell’Alto Matese. La sua cinta muraria è costituita da cinque torri di avvistamento e all’interno delle mura del castello vi è un santuario consacrato a Santa Maria, che conserva preziosi altari e dipinti in rame, in cui viene venerata la statua di Maria Vergine, proclamata Regina del Matese, nota per la sua straordinaria bellezza. Ogni terzo sabato del mese di settembre si svolge una processione in suo onore, durante la quale le donne usano indossare il costume tradizionale. Il lago di Letino è detto anche Caùto ed è un bacino artificiale che si trova poco lontano dal centro abitato, costituito agli inizi del ‘900 per alimentare la centrale idroelettrica di Prata Sannita. Le grotte sono costituite da un sistema di due gallerie, interessanti per la bellezza dei paesaggi che sovrastano. La galleria superiore presenta una folta vegetazione e piccole cascatelle, create dal fiume che precipita verso la valle del Volturno. Recentemente hanno subito interventi di riqualificazione e vi è stata installata una scala d’acciaio, illuminata, grazie alla quale una parte delle grotte è stata aperta al pubblico ed è visitabile. La galleria superiore corrisponde al vecchio percorso del fiume Lete ed è un susseguirsi di pozzi d’acqua, dislivelli e piccoli canyon. La sala maggiore è alta oltre trenta metri e vi si possono ammirare pregevoli stalattiti e stalagmiti. Nella galleria inferiore è possibile ammirare diverse specie animali particolari come i sopra citati crostacei dal guscio bianco, senza occhi. Tra i prodotti da degustare sul territorio vi sono formaggi come il pecorino, la ricotta di pecora, la scamorza e il caciocavallo. La regina è la patata, ricca di vitamina B1, sali minerali, fibre e potassio, dal sapore delicato, dovuto principalmente alla tipologia del suolo coltivato.

L’ultima tappa del nostro tour è il Lago Matese che si trova a circa 1.010 metri s.l.m., situato nei comuni di San Gregorio Matese e Castello del Matese, ed è il lago carsico più alto d’Italia. Dal lago partono decine di sentieri e mulattiere, alcuni segnalati dal Club Alpino Italiano, disegnando una fitta ragnatela che conduce verso vette, valli, boschi, rifugi e masserie, da esplorare con il trekking o in bici. Per cogliere pienamente lo spirito del Matese, è possibile osservare la fauna che si muove e vive tra queste montagne tramite il birdwatching, per mezzo di cannocchiali o binocoli. Affacciandosi dal belvedere di Miralago si può ammirare il lago il tutto il suo splendore, incastonato tra le montagne. È profondo pochi metri ed è uno specchio in cui si riflette maestosamente la vetta più alta del Massiccio del Matese, il Monte Miletto, con i suoi 2.050 metri di altitudine.