Doveva chiamarsi Gesubambino, ma a causa della censura che la colpì in più parti, una delle canzoni più amate del grande Lucio Dalla prese il nome di 4 marzo 1943, il suo giorno di nascita, nonostante la canzone non fosse autobiografica. Coautrice del brano, capolavoro dalliano, fu Paola Pallottino, e fu la stessa autrice a spiegare in un’intervista all’Avvenire che Gesubambino “voleva essere un mio ideale risarcimento a Lucio per essere stato orfano dall’età di 7 anni. Doveva essere una canzone sull’assenza del padre, ma poi è diventata una canzone sull’assenza della madre. Lucio la cantò la prima volta dal vivo nel dicembre del ’70 al teatro Duse di Bologna. Piacque così tanto che i discografici della Rca decisero di portarla a Sanremo. Fu il suo primo grande successo, ma Lucio ne rimase anche un po’ prigioniero”. Uno dei versi più controversi era quello che diceva: “E anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino” che però diventò, come noto: “E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”, in un cambiamento che non convinse l’amica così come non la convinse la partecipazione a Sanremo.
L’incontro tra Dalla e Paola Pallottino fu casuale, alcuni amici comuni le consigliarono di proporre al cantante alcuni suoi testi, nati dall’amore per i francofoni Brel e Brassens e così cominciò la loro avventura che caratterizzò un pezzo della prima parte della carriera di Dalla, culminata proprio in quella 4 marzo 1943 che gli restò cucita addosso a causa (o grazie) a quel titolo che riprendeva la sua data di nascita. Lucio la cantò la prima volta dal vivo nel dicembre del ’70 al teatro Duse di Bologna e piacque così tanto che i discografici della Rca decisero di portarla a Sanremo. Fu il suo primo grande successo, ma Lucio ne rimase anche un po’ prigioniero. La canzone ha tre versioni, quella originale, quella censurata e quella che fu presentata nel tour di “Banana Repubblic” assieme a Francesco De Gregori. Nella versione più nota, è introdotta dal violino di Renzo Fontanella, che faceva parte del primo gruppo del cantante, ed è una delle caratteristiche di un brano che risultò, da subito, amatissimo anche all’estero, soprattutto nei paesi in lingua spagnola, grazie alle versioni di Maria Betania e Chico Buarque de Hollanda, ma a rifarla, quasi subito, fu anche Dalida.
Giornalista