Il Matese è uno dei maggiori e più caratteristici massicci della catena degli Appennini con il fiume Volturno a Ovest e Sud, il Calore a Sud, il Tammaro a Est, il Biferno a Nord che ne segnano i confini. Ha un’estensione di circa 1.500 kmq. La sua cima più alta è Monte Miletto, l’antica Esere, di mt 2.050, cui seguono Monte Gallinola (mt 1922), e Monte Mutria (mt 1823). Al centro del massiccio troviamo un lago naturale e quelli artificiali. Il lago naturale, compreso nella vasta conca centrale, ha una lunghezza variabile che dopo lo scioglimento delle nevi, si allunga anche a 5 km e a 900 metri in larghezza, e fino a 12 metri in profondità. Le sorgenti che lo alimentano stanno sulla sponda settentrionale (Sorgente del Ritorto, risorgenza dell’Esere presso l’isolotto di Monterone, sorgenti di Santa Maria, e altre temporanee; sul versante Sud, piccole sorgenti del Lampazzéllo, e altre). Dagli esami effettuati ai luoghi e al materiale presso il museo di Paleontologia e di Antropologia dell’Università di Napoli, si può dedurre che il Matese abbia assunto la forma attuale durante il Riss interglaciale, cioè la terza fase della glaciazione, solo che il fondo del lago era più basso, e molte conche non erano prosciugate. Con la quarta glaciazione, circa 75 mila anni fa, i generarono i ghiacciai, tra i quali quello di Monte Miletto che arrivava a Campitello. Il bosco si sviluppò più in basso, e i grandi vertebrati si allontanarono. L’ambiente divenne, così, inospitale, e le tracce umane sono da ricercarsi sulle fiancate esterne del massiccio. Del Paleolitico inferiore, il primo e lungo periodo della pietra scheggiata, si ha traccia indiretta a Isernia, nel suo complesso del Paleolitico, in località La Pineta. Del Paleolitico medio si ha traccia a Cerreto, nella Grotta di San Michele, nella Morgia Sant’Angelo, e di quello superiore sul Monte Cila e a Telese.
I geologi parlano di una prima emersione del Matese dal mare detto Tetìde, durante l’era primaria o paleozoica, quando emersero gli Appennini, di un abbassamento sotto le acque durante l’era secondaria o mesozoica, e dalla fine di questa, durante l’era terziaria o cenozoica, di un nuovo sollevamento che dura nell’attuale era quaternaria o antropozoica. Il nome Matese non deriva dal greco, come alcuni studiosi hanno sostenuto, basandosi su assonanze, ma da un toponimo sannitico locale di oscuro significato. In epoca romana fu detto Tifernus Mons, il monte da cui nasce il Tiferno, oggi Biferno. A oggi, il primo documento conosciuto che ne fa il nome, è la Cronaca volturnese, dell’anno 819, dov’è detto Matese. In altre citazioni posteriori possiamo trovare anche Mathesium. La venuta di popoli indoeuropei nella penisola e, di conseguenza la nascita del nome, si fa risalire a circa sedici secoli prima della venuta di Cristo. Ma solo al VII secolo a.C. risalgono poderosi muraglioni sulle colline periferiche del massiccio. Questa protostoria ha assenza di notizie, ma è testimoniata da manufatti prima neolitici, poi del bronzo. Seguono la storia sanguinosa dell’unificazione politica operata da Roma, e la fiera e inutile resistenza da parte del Sannio. Il Medio Volturno risulta diviso fra Sannio Pentro e Caudino a sinistra del fiume, mentre sulla destra s’insinuarono Oschi e Sidicini. Nella seconda guerra sannitica si combatté nella vallata, e alla fine della guerra i borghi sannitici restarono per un secolo e mezzo, terra di conquista, senza diritti. Fa eccezione la gloriosa Telesia che resistette ad Annibale e ottenne la qualifica e i vantaggi di urbs foederata, città alleata di Roma. In seguito, la colonizzazione romana, a ondate, da Silla, ai Triumviri, ad Augusto. Nel 1800 il Matese fu rifugio di partigiani che lottavano contro Murat e i Francesi, diventando il covo dei briganti che si aggiravano per le aspre contrade fino al 1815. Più tardi, tra il 1861e il 1865, trovarono rifugio sulle montagne matesine, soldati borbonici renitenti di leva e veri delinquenti, comandati dall’ex cavalleggero borbonico Cosimo Giordano di Cerreto, con bande che raggiungevano oltre i 500 componenti. Nel 1877 vi fu un tentativo, da parte di Errico Malatesta e dei suoi seguaci, di suscitare un moto di natura anarchica, ma dopo pochissimi giorni la banda, stremata dal maltempo, si arrese.
In foto: paesaggio primaverile a San Gregorio Matese
La storia del Matese è la storia della sua periferia e delle sue poleis, con le città di Allifae, Aesernia, Bovianum, Saepinum, Telesia, Caiatia, Rufrae e Venafrum. Non v’è traccia di una storia civile ed economica del Matese: si sa che in epoca romana vi fu lo sfruttamento di boschi, nessuna notizia per il primo Medio Evo, legnami, carbone, allevamento transumante e una certa disciplina di tutto questo negli statuti municipali durante il secondo Medio Evo fin quasi a oggi. Come già detto, la cima più alta si trova in Molise, nel comune di Roccamandolfi, in provincia di Isernia, ed è quella di Monte Miletto, seguita dal Monte Gallinola e dal Monte Mutria, dal Monte Erbano e dal Monte Maio. Nel suo territorio, in particolare nell’oasi di Guardiaregia, è presente l’abisso Pozzo della Neve, tra i più importanti sistemi sotterranei d’Italia, che gli abitanti sfruttavano come punto di approvvigionamento di ghiaccio e acqua durante la stagione estiva, e che nel 1955 venne descritto ed esplorato da un gruppo di speleologi romani. Il lago del Matese e i due laghi artificiali di Gallo Matese e di Letino, quest’ultimo formato dalla diga sul fiume Lete e gli impianti sciistici di Bocca della Selva e Campitello Matese, sono i punti di attrazione turistica più importanti. In base all’altezza si trova una flora diversificata: a quota media è presente il faggio e in alta quota l’abete, specialmente nella zona molisana, mentre più in basso si trovano betulle, ginepri, querce e castagni. Più si scende e più troviamo boschi di leccio. Zona di equini, bovini, ovini, e caprini che pascolano allo stato brado e che danno vita a un’intensa attività di allevamento, nei pressi di Monte Miletto e la Gallinola si possono osservare volatili come falchi, sirenelle e qualche esemplare di aquila. È ricomparso, da qualche tempo, anche il lupo appenninico assente da decenni.
Il Parco regionale del Matese è un’area tutta da scoprire. Dallo sport ai sapori tradizionali, sono tanti i motivi per visitarlo. È una splendida area protetta in Campania, che ha aperto le sue porte nel 2002, rapidamente divenuto un vero e proprio paradiso per tutti gli sportivi, dagli amanti del trekking a chi con la sua mountainbike andrebbe ovunque. Svariate le attività possibile, come lo sci d’erba o alpino e il deltaplano. In alcune aree è inoltre possibile salire in sella e regalarsi delle rilassanti passeggiate a cavallo, così come partire all’avventura e ritrovarsi a far parte di un gruppo di escursionisti speleologici. La sua storia è caratterizzata anche da tradizioni ben radicate, soprattutto per quanto concerne il cibo. All’interno del parco è possibile apprezzare tutte le specialità dell’area, derivate dal mondo pastorale e contadino. Dal formaggio pecorino alle caciotte, dai caciocavalli alla mozzarella. Eccellenti i prosciutti stagionati di Pietraroja, così come il cazzu’ntontulu, un salume di Castello Matese. Tutto ruota intorno alla natura, dolci compresi, caratterizzati soprattutto da fragole, more e mirtilli offerti dai boschi.
Giornalista