Quando Feltri dichiarò di essersi innamorato del Sud…

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Fa discutere in questi giorni Vittorio Feltri, fa indignare i meridionali, fa insorgere il loro orgoglio, radicato al viscerale amore per le loro radici e per la loro terra. Eppure, restano ancora vive le sue dichiarazioni, risalenti allo scorso novembre, nel suo lavoro L’irriverente in cui parla del percorso fatato della sua infanzia, vissuta in un borgo molisano, Gualdialfiera. Feltri nel suo capitolo ricco di amore per il Sud e per il borgo molisano, narra di quando vi arrivò, nel 1948, quando soggiornava con gli zii Ernesto e Nella. Fu quello uno dei periodi più importanti della sua vita, fatto di scoperta di tradizioni autentiche e vita genuina, di popoli orgogliosi del loro lavoro e della loro tenacia. Fu lì che conobbe le terre del Sud, le “Terre del Sacramento” e, fra paesaggi di fieno e di grano, intrecciò amicizie con contadini servizievoli, con tanti piccoli bambini vivaci, monelli e più tranquilli, con sarti e artigiani; qui conobbe fattori e fattorie, coccolava asinelli e imparò a intagliare il legno. Qui tornò ogni anno, anche dopo la morte degli zii. L’8 settembre 2017, sfoderò in prima pagina di Libero il seguente proclama: “Meno male che c’è il Molise” continuando con “È giunta l’ora di raccontare il Molise dimenticato”.Vittorio Feltri non ha mai dimenticato il calore del paesino del Sud, il suo dialetto. “Questo paese non è uno sciame di case. È il pane caldo. È nostalgia di nodi che s’intrecciano con le arterie, con la carne, col destino degli ortolani, discacciati dalle Terre del Sacramento, ancora oggi insultati e irredenti. E Guardia, anche se così, per te e per me, rimane il villaggio dove passano le nuvole più belle”.