“Il Piave mormorava calmo e polacido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio”
È un giorno che è rimasto nella memoria storica del paese, quel 24 maggio di centocinque fa. Forse il Piave mormorava davvero calmo e placido, come dice la celebre canzone degli alpini che tutti abbiamo imparato sin da piccoli, ma ad attendere i fanti italiani e con loro tutto il Paese c’erano anni durissimi, di sofferenze e di privazioni. Più di tre anni dopo sarebbe arrivata una vittoria, ma sicuramente conseguita a caro prezzo. Il 24 maggio 1915, l’Italia si gettò nella Prima Guerra Mondiale. Era un lunedì, un lunedì che avrebbe scritto la nostra storia. Alle 3:30 le truppe italiane oltrepassarono il confine italo-austriaco, e puntarono verso le terre del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia, momento che nel 1918 venne celebrato nella Leggenda del Piave, una canzone destinata a entrare nella memoria collettiva degli italiani. L’Italia era divisa tra interventisti e neutralisti e sulle sponde del Piave e dell’Isonzo, nelle varie trincee che si erano create, lasciò 700 mila morti. Da quella guerra ottenne Trento e Trieste, ma ne uscì ferita, lacerata da una profonda che la condusse brevemente al Fascismo. La Prima Guerra Mondiale fu un enorme massacro: coinvolse 27 paesi, costò 10 milioni di morti, 20 milioni di feriti, enormi distruzioni. eserciti impantanati nelle trincee, nuove armi impiegate su larga scala: aerei, sottomarini, carri armati, mitragliatrici, gas tossici. Una guerra che portò alla dissoluzione dell’impero austroungarico e ottomano, che mise fine a quello degli Zar, e che segnò il crollo di tre dinastie secolari, gli Asburgo, gli Hohenzollern e i Romanov. Fu l’inizio della fine della vecchia Europa che sancì l’ingresso sulla scena mondiale degli Stati Uniti. Una guerra che portò l’epidemia della Spagnola, la quale tra 1918 e il 1919 provocò più morti della guerra stessa; fu il primo passo della Grande Crisi del 1929. Una guerra per la quale Benedetto XV, il “Papa della pace”, chiese invano alle potenze belligeranti il disarmo e il ricorso al cessate il fuoco.
Tanti, troppi erano i motivi che spingevano l’Europa al massacro: gli interessi in Medio Oriente di Regno Unito e Reich tedesco, l’irredentismo in Italia e nei Balcani, il clima culturale di un’epoca che concepì la guerra come sbocco naturale delle vertenze internazionali. In Italia, contro l’entrata in guerra furono i cattolici, i socialisti, i giolittiani, mentre per la guerra furono il governo Salandra, i liberali, i nazionalisti. Un’interventista fu Gabriele D’Annunzio, interprete a modo suo del superuomo di Nietzsche, ma anche Filippo Tommaso Marinetti, che nel Manifesto del Futurismo aveva proclamato la guerra “sola igiene del mondo”. In interventista si trasformò repentinamente anche il socialista Benito Mussolini, che lasciò la direzione dell’Avanti! per fondare l’ultranazionalista Popolo d’Italia e fu espulso dal Psi. I confini, le cicatrici della storia, sarebbero stati cambiati radicalmente dalla Grande Guerra. L’Impero Austro-Ungarico si disgregò, la Germania subì sanzioni durissime. L’Italia ottenne quanto promesso, ma molti di quei fanti che il 24 maggio 1915 attraversarono il Piave, nel novembre 1918 tornarono a casa trovandosi davanti un mondo diverso. Un mondo che tantissimi altri non ebbero la fortuna di vedere.
Giornalista