L’ulivo è certamente la pianta più rappresentativa della coltura delle civiltà che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Columella, scrittore romano di agricoltura, nel suo De Rustica sosteneva che Olea prima omnium arborum est, ossia che l’ulivo è il primo fra tutti gli alberi. Pianta sacra ad Atena, o Minerva, perché dono della dea agli uomini, l’ulivo affonda le sue solide radici nella storia stessa dell’umanità e il suo significato si intreccia con i racconti popolari, la mitologia, la poesia e la religione. Si tratta di una delle piante arboree da frutto più diffuse al mondo e di origine più antica, proveniente, molto probabilmente, dall’area geografica che è compresa tra l’Asia Minore e l’Asia Centrale, dove era già protagonista più di seimila anni fa. Il terreno ideale per la crescita dell’ulivo era considerato quello della Mezzaluna fertile, fra il Tigri e l’Eufrate, con la sua particolare condizione climatica, ove estati calde e asciutte, ma spesso umide, si alternano a inverni miti e piovosi. L’albero di ulivo non richiede terreni profondi e ben si adatta ai terreni sassosi e terrazzati che guardano il mare. Ma non solo il mare. La Campania e il Molise sono certamente terra di ulivi, questi generosissimi alberi sempreverdi che ci donano un frutto e un oro verde che fanno della cucina e della cultura gastronomica mediterranea una vera e propria eccellenza. E ai confini fra Campania e Molise, nell’area del Sannio pentro, nella Valle del Volturno, in uno dei borghi più belli del Molise, troviamo il Parco regionale dell’Olivo venafrano.
Venafro, il cui nome latino Venafrum la dice lunga sulle sue origini, è nota come Porta del Molise, ed è la quarta città della regione per abitanti e anche una delle più belle e caratteristiche. Ha origini molto antiche, risalenti al popolo dei Sanniti, dove nel III secolo a.C. combatterono aspramente contro Roma, proprio durante le rinomate guerre sannitiche. Nell’89 a.C. Venafrum fu teatro di uno scontro decisivo contro Roma. Nel Medioevo fu invasa dai Longobardi, e dal VI secolo divenne sede di una diocesi, nonché importante centro di passaggio di chi, da Molise e Abruzzi, volesse raggiungere Napoli. Dal XV secolo fu di proprietà della famiglia Pandone, che contribuì alla ripresa economica del centro e nel 1860 ospitò Vittorio Emanuele II in viaggio per l’incontro con Giuseppe Garibaldi. Un tempo era annessa alla Campania, e il suo borgo è circondato da mura, con il punto più alto nel Castello Pandone, di origine longobarda, che ospita al suo interno il Museo Nazionale del Molise, custode di opere del territorio regionale di grande valore storico. Una cittadina che sorge ai piedi del Monte Santa Croce, altrimenti detto Monte Cerino, che origina probabilmente da Hercule Curinus, il cui culto era molto importante e sentito tra i Sanniti.È conosciuta come la Città delle 33 chiese, tra queste la principale è la Concattedrale di Santa Maria Assunta che risale al V secolo e fu costruita sotto il vescovo Costantino sui resti di un tempio pagano. Tra le altre chiese meritevoli di una visita, vi è la Chiesa dell’Annunziata, esempio di architettura barocca, la cui costruzione originale risale al Trecento, con una cupola affrescata che è visibile, e punto di riferimento, da ogni angolo della città. Un anfiteatro romano, detto Verlasce, il teatro romano e tracce di un acquedotto romano, una cinta muraria di epoca sannitica e alcuni reperti medievali ne fanno una città ricca di richiami culturali. Da vedere, certamente, anche Palazzo Mancini, Palazzo Martino, la chiesa di S. Agostino con il suo convento in cui è ospitata la biblioteca comunale, il Palazzo Del Vecchio, la chiesa di S. Angelo, il Palazzo Manselli Scaramuzza e la chiesa di S. Sebastiano. Una curiosità: le sorgenti del Volturno e del San Bartolomeo si trovano proprio nel centro di Venafro, dove c’è il laghetto chiamato la pescara.
E proprio a Venafro troviamo la prima area nel Mediterraneo dedicata all’ulivo, il Parco regionale agricolo storico dell’oliva venafrana, detto anche Oraziano o Campaglione, un’area protetta istituita nel 2004 che nasconde un’alta e svariata biodiversità naturalistica, data da uliveti e specie molto interessanti, in un habitat degno di invidia ed encomiabile all’occhio di un naturalista. Questa elevata biodiversità colturale, indice di valore naturalistico, trovava giustificazione nella maggior versatilità dell’uliveto agli agenti atmosferici, per cui si poteva avere un prodotto sempre costante in quantità, a seconda delle annate e della fruttificazione delle varie specie di ulivo. I terreni che ne affiorano sono prevalentemente di origine sedimentaria, con una vegetazione che varia dalle caducifoglie alle faggete. L’istituzione del Parco lo ha inserito nel Registro Nazionale dei Paesaggi rurali storici e intende a promuovere e conservare l’olivicoltura tradizionale che a Venafro ebbe grandi fasti e antichi splendori, tanto che i Romani ritenevano l’olio della zona il più pregiato del mondo antico. Una grande occasione di riscatto per un territorio che negli ultimi anni non è sempre stato ben valorizzato, spesso lasciato all’incuria. L’agricoltura e gli uliveti di Venafro sono descritti fin dall’antichità da Marco Porcio Catone, che nel De Agricoltura suggerisce di applicare le tecniche agricole usate a Venafro, a Orazio, che descrive una Venafro ammantata di olivi. Lo storico Vincenzo Cuoco riconobbe in un personaggio sannita di nome Licinio l’importatore della coltura olearia nell’area venafrana. Durante un immaginario viaggio filosofico nell’Italia meridionale, fa scrivere così da Clobulo a Platone: “Voi greci credete che l’ulivo non prosperi a quaranta miglia dal mare; tempo fa lo credevamo anche noi; e gli abitanti delle Mainardi e della Maiella erano costretti a comprar l’olio dagli abitanti delle terre vicine al mare. Il mio amico Licinio ha voluto introdurre l’ulivo nella sua patria. Egli era cittadino di Venafro. Dopo lunghe ricerche, fra le tante specie di questa pianta, ne ha trovata finalmente una capace di sostenere il freddo delle paterne montagne; e l’olio di questo ulivo non cede all’olio dei Salentini e dei Tarantini”. Importante è la presenza di cultivar uniche come l’Aurina, varietà autoctona e propria di Venafro, identificabile con l’antica Licinia dei Romani ed altre varietà antiche tra cui la Pallante, l’Olivastro breve, l’Olivastro dritto, la Rotondella, la Rossuola, l’Olivastrello, l’Olivo maschio, il Gragnaro, la Lagrimella. Ancora oggi è possibile riscontrare terrazzamenti antichissimi, intercalati a resti di impianti rustici di età repubblicana con cisterne e resti di fortificazioni romane. Nel complesso, le montagne sulle quali si estende il Parco rappresentano i primi contrafforti delle Mainarde e rivestono una notevole biodiversità. Faunisticamente parlando, nell’area si possono rilevare le presenze di falco lanario, falco pellegrino e gheppio e poi poiana, falco pennacchiolo, nibbio reale e nibbio bruno. E ancora, rettili come lucertole, ramarri e vipere. Inoltre, è stata rilevata la presenza del lupo, della tartaruga terrestre e dell’istrice.
Giornalista