La storia dell’arte è narrazione e racconto, ed è di un racconto che voglio parlare. Vien da chiedersi cosa sia un cratere. Si tratta di un vaso molto capiente, e la sua funzione era quella della mescita di vino puro con acqua e spezie durante un simposio. Assteas, invece, era un ceramografo e ceramista pestano, uno dei più grandi e importanti decoratori ceramografici della zona, che operava nel IV secolo a.C.. Il cratere in oggetto proviene dalla Magna Grecia, fra il Mar Tirreno e il Sele, precisamente da Posidonia – Paestum, che oggi si trova nella Torre di Montesarchio, antica Caudium, sede del Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino, che ospita reperti provenienti da tutto il territorio degli antichi Sanniti Caudini, è stato firmato dall’artista sopra citato, oltre al fatto che tale nome si trova anche accanto a una delle figure. “Lo ha dipinto Assteas”, cita l’epigrafe. Una vera e propria meraviglia che appartiene alla tipologia detta “a calice”, e che rientra nel filone della ceramica a figure rosse. Si tratta, certamente, di uno dei crateri più grandi mai rinvenuti, alto 72 cm e largo 60 cm, ed è conservato perfettamente integro, nonostante la sua lunghissima storia. Infatti, molti trafficanti hanno cercato di mercificare con esso, è stato conteso da molti appassionati e ha girato davvero buona parte di mondo. Ma una cosa è certa: si tratta di un capolavoro.
Il cratere rappresenta le origini della civiltà minoica, la civiltà più antica della Grecia. In particolare, narra del ratto d’Europa, tanto che il nome ufficiale del cratere sarebbe proprio questo. Europa era una principessa fenicia, proveniente dall’attuale zona Libano, che fu rapita da Zeus, che per l’occasione assunse l’aspetto di un toro bianco, dando alla luce tre figli: Minosse, il futuro Re di Creta, Radamante e Sarpe. Oltre a tale raffigurazione, sul retro è rappresentata un’ulteriore scena mitologica: il dio del vino, Dioniso, seguito da un breve corteo formato da menadi, un sileno e il dio Pan. Un corteo che prende il nome di tiaso, un’associazione di carattere prevalentemente religioso che nell’Antica Grecia celebrava il culto di un dio, specialmente quello di Dioniso con processioni, canti e danze generalmente sfrenate. I nomi raffigurati sono stati sapientemente inseriti dopo la cottura e Assteas si dimostrò molto attento alla simmetria compositiva, alle figure accostate e non sovrapposte, al disegno ben curato e alla presenza dei personaggi principali collocati al centro della composizione, molto più grandi rispetto a quelli minori, per dare a loro particolare risalto.
Il cratere, un vero e proprio gioiello archeologico, fu ritrovato a Sant’Agata de’ Goti nei primi anni Settanta, da parte di un operaio edile, un certo Cacciapuoti, durante i lavori di scavo per la rete fognaria. Si trovava in una tomba e faceva parte del suo corredo funerario. Quest’uomo raccolse il cratere e lo portò in casa propria, si fece fare alcuni autoscatti con la sua Polaroid a colori e lo vendette sul mercato nero per 1 milione di lire e un maialino. Ovviamente, il cratere, dopo tale avvenimento, cominciò a seguire la filiera di un’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di reperti storici, e fu depositato in Svizzera in attesa di un acquirente, finché fu venduto al Getty Museum di Malibu, in California, per 380 mila dollari, che lo tenne in esposizione dal 1981 al 2005. Grazie a uno degli scatti fatti dalla Polaroid dell’operaio, i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, al termine di lunghe e complesse indagini, sotto la guida del luogotenente Lai, riuscirono a dimostrare la reale provenienza del cratere, coinvolgendo gli Uffici del MiBAC, e convinsero la Magistratura a ottenere la restituzione del cratere dipinto a figure rosse. A partire dal 2007 il vaso è stato esposto in diverse città europee: da Roma a Montesarchio, passando per Napoli, Paestum, Parigi, Sant’Agata de’ Goti, Milano. La storia del cratere è stata narrata in diversi articoli giornalistici e nel romanzo Il ratto di Europa. Storia del vaso di Assteas di Aniello Troiano, oltre che nel documentario di Michele Porcaro ASSTEAS – Storia del vaso più bello del mondo, a cui ha collaborato il critico d’arte Vittorio Sgarbi.
Giornalista