Sta cacca de fà a rruzzica, Dodato,
Co la smaniaccia d’abbuscà ll’evviva,
Nun è ggiro pe tté, cche nun hai fiato
De strillà mmanco peperoni e oliva.
Come sce pôi ggiucà, tisico nato,
senza dajje ‘na càccola d’abbriva?
Nun vedi la tu’ ruzzica sur prato
c’appena ar fin de ‘na scorreggia arriva?
Co ddu’ pormonettacci de canario,
d’indove mommò er zangue te se sbuzzica,
tu protenni de prennete sto svario? (7)
Stattene in pasce: ggnisuno te stuzzica;
si ppoi vôi vince tu, vva’ a Montemario,
pijja la scurza e bbutta ggiú la ruzzica.
Con questi versi del poeta dialettale romanesco Giuseppe Gioacchino Belli, parliamo di una passione, un hobby, una tradizione, uno sport, in qualsiasi modo lo si voglia chiamare: il lancio della ruzzola o ruzzolone, dalle antichissime origini, già praticato dagli antichi Etruschi. Infatti, nella Tomba dell’Olimpiade di Tarquinia è raffigurato il cosiddetto discobolo, ma la sua posizione è quella tipica di chi stia lanciando una forma di formaggio, originariamente pecorino stagionato, molto duro e resistente, che i pastori lanciavano lungo i tratturi. Uno sport praticato in prevalenza da pastori e contadini, meno da nobili, ecclesiastici o intellettuali. Nobile antenato di questo sport fu certamente il lancio del disco che Omero decantava nei suoi versi, ma non solo lui. Uno sport che veniva praticato dagli antichi romani che chiamavano la ruzzola tubo o, più tardi, tronchus. Attualmente, il gioco della ruzzola ha una diffusione nazionale, ma è molto praticato soprattutto nell’Umbria e nelle Marche, in Toscana, in Abruzzo, nel Lazio, in Emilia Romagna.
La forma della ruzzola poteva essere più o meno grande, in tal caso il nome variava da Ruzzola a Ruzzolone. Uno sport a cui si interessarono addirittura le pubbliche autorità, vescovi e governatori, che però ne regolamentarono la pratica proibendola nei giorni festivi o nelle immediate vicinanze dei monasteri per non turbarne la quiete. Un gioco molto popolare, seguito però da tutti, gente di campagna, nobili, contadini, autorità, che richiedeva una sana competitività, fatta di forza fisica, destrezza, ma certamente anche di una buona dose di fortuna. Uno sport che praticano coloro che amano la vita di campagna, all’aria aperta, l’ecologia e il rispetto per un ambiente puro e sostenibile, l’aggregazione e la cooperazione. A Pontelandolfo il gioco della Ruzzola viene rappresentato come un momento in cui si dà vita a rappresentazioni mitiche, come il tiro della palla, la lotta, il pugilato che erano e sono considerate fra le rievocazioni ludiche in onore del mitico Ercole. Misurare la forza e l’abilità era non solo sfoggio di vigore e salute fisica, ma anche dimostrazione di benevolenza e protezione del dio Ercole. A Pontelandolfo viene fatta ruzzolare proprio la tipica forma di formaggio, che ha un peso che può arrivare fino ai 18 kg, da piazza Roma fino alla cappella di San Rocco.
La storia, narrata in un documento della Pro Loco del borgo sannita, racconta che a Pontelandolfo c’era un ricco barone che possedeva molte masserie e terre coltivate e che amava il gioco. Nel periodo del Carnevale girava tra varie cantine per cercare di organizzare partite e tornei di tressette. Una sera cominciò a giocare con il lavoratore di una taverna di nome Pasquale, che tutti consideravano un campione. Anche il barone era bravo e la partita aveva un andamento altalenante, finché una buona dose di fortuna colpì Pasquale. Il gioco andò avanti tutta la notte e il barone perse due masserie e un pascolo tenuto a erba medica. Il barone era un uomo d’onore e tenne fede ai debiti del gioco, le masserie e il pascolo furono di Pasquale. Le vacche del barone, però, erano abituate a mangiare al vecchio pascolo che era, ormai, diventato di proprietà di Pasquale e questi non accettò questa cosa, per cui pretese parte del formaggio che il barone avrebbe prodotto col latte di quelle vacche. Il barone, che non apprezzò tale arroganza e prepotenza, rispose: “Giammai, te lo darò. La terra si che ti spetta ma la prima erba che era là, sul campo, gia prima della vincita, è ancor mia!”. Da quel momento, nacque la contesa, chi parteggiava per uno, chi per l’altro. I nobili erano dalla parte del barone, gli umili dalla parte di Pasquale. Una notte, infastidito, il barone decise di appendere una forma di cacio al balcone di Pasquale in segno di sfregio, perché tutti vedessero. Questi, ovviamente, non gradì simile affronto e chiamò degli amici fidati che mandarono al barone questo messaggio: “Quello che è nato dal gioco, nel gioco finisca. Ci vediamo domenica mattina sotto alla piazza della Teglia”. Ecco che si ebbe la prima partita di formaggio, una partita che, come narra la leggenda, non ebbe mai fine e sembra che ancora oggi, nelle notti del Carnevale, Pasquale e il barone continuano la partita di formaggio che non avrà mai fine, finché questo gioco sarà parte integrante della vita e del cuore di ogni abitante di Pontelandonfo.
La ruzzola è spesso anche un disco in legno duro con diametro molto variabile in funzione del regolamento adottato, solitamente da 13 cm per la Ruzzola a molto di più per il Ruzzolone. In ogni caso, la maggior parte delle volte si tratta di una forma di pecorino. Si avvolge uno spago intorno alla ruzzola e la si lancia trattenendo un capo dello spago in modo da imprimerle una veloce rotazione. Bisogna far arrivare la ruzzola il più lontano possibile con un numero prefissato di lanci. Quando lo si gioca in squadra, i giocatori si alternano cercando di lanciare il più lontano possibile il formaggio, senza farlo uscire dal percorso stabilito. Le gare si svolgono su campi delimitati, chiamati treppi, appositamente attrezzati per rendere il gioco più movimentato, tanto è vero che vi sono salite, curve, ostacoli di vario tipo. In alternativa il gioco può essere praticato anche su strade, siano esse asfaltate o no. Il vincitore della ruzzola porta a casa la forma dell’avversario.
Giornalista