Accadde oggi: 9 ottobre 1963, il disastro del Vajont, una tragedia annunciata

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Era il 9 ottobre 1963, un tranquillo mercoledì d’autunno e a Longarone, un piccolo centro della valle del Vajont, nel bellunese, gli abitanti erano raccolti nelle case e nei bar davanti alla TV, presi dalla partita di Coppa dei Campioni tra il Real Madrid e i Glasgow Rangers. Già il giorno precedente, il Comune di Erto, su sollecito dei tecnici S.A.D.E., emanò la seguente ordinanza: “Avviso di pericolo continuato. Si porta a conoscenza della popolazione che gli uffici tecnici della Enel-Sade segnalano l’instabilità delle falde del monte Toc e pertanto è prudente allontanarsi dalla zona che va dal Gorc, oltre Pineda e presso la diga e per tutta la estensione, tanto sotto che sopra la piana. La gente di Casso, in modo particolare, si premuri di approfittare dei mezzi che l’Enel-Sade mette a disposizione per sgomberare ordinatamente la zona, senza frapporre indugio, con animali e cose. boscaioli e cacciatori cerchino altre plaghe e siccome le frane del Toc potrebbero sollevare ondate paurose su tutto il lago, si avverte ancora tutta la gente e in modo particolare i pescatori che è estremamente pericoloso scendere sulle sponde del lago. Le ondate possono salire le rive per decine di metri e travolgere annegando anche il più esperto dei nuotatori. Chi non ubbidisce ai presenti consigli, mette a repentaglio la propria vita. Enel-Sade e autorità tutte non si ritengono responsabili per eventuali incidenti che possono accadere a coloro che sconsideratamente, si avventurano oltre i limiti sopra descritti”.

Dopo le 22 successe qualcosa che mise in allarme il guardiano della diga: un pezzo del Monte Toc stava franando. Erano esattamente le 22:39 e un sordo boato scosse la tranquillità del borgo. Solo pochi attimi e una fiumana di fango e detriti si abbatté sui centri abitati di Longarone, Erto e Casso, cancellandoli e trascinando corpi e cose per decine di metri. Una tragedia annunciata, fatta di dati occultati, perizie abbandonate nei cassetti, voci e denunce di giornalisti e cittadini colpevolmente ignorate. Una tragedia che registrò circa duemila vittime. La diga protagonista fu costruita alla fine degli anni Cinquanta dalla S.A.D.E., uno dei colossi elettrici più potenti e influenti dell’epoca, i quali operatori occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga fu scoperto, infatti, che i versanti avevano caratteristiche morfologiche tali da non renderli adatti a essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. L’ente gestore e i suoi dirigenti erano perfettamente a conoscenza della pericolosità, eppure coprirono con dolosità i dati a loro disposizione, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale. Un progetto folle fin da subito su un terreno franoso, come tutti sapevano. Non solo un disastro ambientale, ma soprattutto umano.

L’evento fu dovuto a una serie di cause, di cui l’ultima in ordine cronologico fu l’innalzamento delle acque del lago artificiale oltre la quota di sicurezza di 700 metri voluto dall’ente gestore che, combinato a una situazione di abbondanti precipitazioni meteorologiche, accelerò il movimento dell’antica frana presente sul versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno e Pordenone. Nel febbraio 2008 il disastro del Vajont fu citato, assieme ad altri quattro eventi, come un caso esemplare di “disastro evitabile” causato dal “fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare”. Le vittime furono stimate a 1917, ma vennero recuperati solo 1500 cadaveri. Persero la vita 487 bambini, il più piccolo aveva appena 21 giorni. La mattina dopo la sciagura, subito e senza perder tempo si mise in moto la macchina dei soccorsi. Vennero inviati sul luogo Esercito Italiano, Alpini, Vigili del Fuoco e il comando dell’esercito USA di Aviano e Vicenza, resosi utile soprattutto con l’utilizzo di elicotteri per sfollare i villaggi isolati di Erto e Casso. Molti furono anche i telegrammi di solidarietà e vicinanza inviati al presidente della Repubblica Antonio Segni da tutto il mondo, tra i quali quelli di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Austria.