Ai confini tra il Molise e l’Abruzzo c’è un borgo davvero piccolo, che conta poco più di 300 abitanti, ma rinomato per una dolcissima caratteristica: le sue mele. Siamo a 800 metri sul livello del mare, circondati dai verdeggianti e rasserenanti boschi dell’Alto Molise, dove scorre il fiume Sangro e dove l’aria è limpida, asciutta e frizzantina. La sua posizione nella parte terminale del tratturo Sprondascino – Castel del Giudice ha fatto sì che la zona divenisse insediamento di transumanza. Parte dell’antico tratturo è ancora visibile nel tratto che dalla variante del’attuale zona industriale porta al colle delle forche e poi verso il fiume. Castel del Giudice è circondato da un territorio montano e da vasti meleti coltivati soprattutto nelle zone più a bassa quota. Le mele sono certamente la risorsa più importante dell’economia territoriale, soprattutto perché si tratta di frutti biologici, dalle quali vengono ricavati marmellate, succhi di frutta e specialità dolciarie, ovviamente a base di mele. Una caratteristica che ha permesso a questo borgo, già di per sé altamente salubre e sostenibile, di entrare a far parte dell’Associazione Città del Bio. Un borgo dalle origini probabilmente medievali, eppure mancano notizie certe. Sono scarsi i materiali storici ritrovati, forse a causa dei tanti terremoti che hanno interessato la zona e che hanno portato alla distruzione di tanti edifici del borgo.
Le origini di Castel del Giudice risalgono probabilmente al periodo medievale ma non si hanno notizie certe, soprattutto a causa dell’assenza di materiali storici dovuta ai numerosi terremoti ed eventi che hanno distrutto, nel tempo, gli edifici del paese. Il nome del paese deriva, probabilmente, da Castrum Judicis o da Castellum Judicis, toponimo che rimanda a un’idea di fortezza con un’autorità che amministrava la giustizia. È anche probabile che la famiglia Del Giudice fu quella che tenne in feudo il paese. Si tratta di un piccolo borgo, molto accessibile, dove la qualità della vita è davvero alta. Biciclette elettriche e un alto senso civico fanno di questo borgo uno dei più sostenibili dell’intero Molise. Passeggiare tra le vie di Castel del Giudice vuol dire imbattersi in numerose architetture di pregio come la chiesa parrocchiale di San Nicola, in stile barocco, risalente al XV-XVI secolo, mentre la Chiesa dell’Immacolata, distrutta durante la guerra mondiale, è stata ricostruita successivamente. Troviamo, inoltre, il Santuario della Madonna in Saletta e la Cappella di Sant’Antonio, che è stata recentemente restaurata. Proprio vicino al santuario, sono stati ritrovati dei reperti, quali mura, materiale generico, monete, durante i lavori di restauro dell’edificio sacro avvenuti qualche decennio fa. Si tratta di ritrovamenti che potrebbero risalire a oltre duemila anni fa, resti che vennero poi ricoperti per non interrompere i lavori. In ogni caso, l’epoca più fiorente e di maggiore notorietà è proprio quella medievale, legata a Giacomo Caldora, abile capitano di ventura, tra i maggiori della sua epoca, cui Castel del Giudice diede i natali. Dopo Giacomo, Castel del Giudice passò sotto il dominio del figlio Antonio.
Il borgo nel corso degli ultimi vent’anni ha saputo reinventarsi, sempre a sostegno di un progetto di sostenibilità, vita bio e turismo di qualità e più diffuso. Il recupero è stato al centro dei progetti dell’amministrazione locale, la quale, insieme ai cittadini e imprenditori, ha dato vita alla STU (Società di trasformazione urbana) che ha fatto sì che da un agglomerato di stalle private abbandonate, sorgesse un esempio di recupero conservativo smart, di immobili che rappresentano la storia rurale del borgo. Borgo Tufi è oggi un albergo con 60 posti letto, un ristorante, una SPA, una sala convegni e soprattutto uno degli emblemi della ripartenza di Castel del Giudice. Fare impresa in un borgo rurale è stata la più grande, vincente scommessa di questo paesino dalle poche e sensibili anime.
La produzione delle mele mette una forte sottolineatura alla concezione di alimento biologico. Essi sono i frutti più autentici di un terriotorio dalle elevate qualità della vita, raccolti nelle zone boschive. Le mele vengono commercializzate e valorizzate ottenendo prodotti derivati dalle indiscutibili qualità. Il punto di forza dell’economia del borgo è proprio l’agricoltura biologica, la sostenibilità della produzione, il rispetto del territorio e di ogni sua componente. Un prodotto che riesce a valorizzare le qualità del territorio dell’Alto Molise, rispettando l’ambiente, il paesaggio puro, valorizzandolo e riuscendo a conservarne integri aspetto e bellezza. Un’attività che riesce a coinvolgere adulte e giovani generazioni, con un incremento della filiera produttiva e con la valorizzazione di essa, ponendo alto sostegno al reddito agricolo. Un prodotto biologico che rispetta pienamente il patrimonio ambientale, colturale e culturale, legato a un territorio con alte valenze culturali, paesaggistiche e ambientali. L’azienda agricola Melise è il punto di forza di tale attività, con il recupero dei terreni abbandonati e sapientemente rimessi in piedi, antiche varietà di mele ripiantate e riportate sulle nostre tavole. Il Meleto biologico Melise trae linfa dall’acqua delle alte vette di Capracotta e dalla biodiversità della natura altomolisana, selvaggia e autentica. Sabato 10 ottobre si è svolta la Festa della mela: una giornata all’insegna della cordialità, dell’amicizia, dello spirito giocoso, in cui convergevano sapori, attrazioni e tradizioni. Stands concentrati unicamente sull’artigianato, che fosse quello riguardane stoffe o gioielli o quello inerente a un settore gastronomico notoriamente fatto a mano e bio: miele, dolci alle mele, patate viola, scrippelle, coltivazioni di luppolo e orzo proprio accanto ai meleti, che hanno dato vita a una straordinaria birra agricola, vini del territorio, stands gastronomici che esaltavano la qualità genuina dei sapori di un tempo, che in questo borgo sono sapori attuali e invariati. E ancora carretti turistici e giri sugli asinelli, e filari di panni stesi al sole a dimostrazione della salubrità dell’aria. E poi escursioni a piedi o in bicicletta, visite ai meleti, street art e musica a tutto tondo, bolle di sapone e trampolieri, tutto nel cuore degli Appennini, con un meraviglioso affaccio nella natura. Una grande partecipazione a dimostrazione dell’importanza del ritorno alla terra, assieme all’aumento della consapevolezza che consumare cibo di prossimità, coltivato nel rispetto dell’ambiente, e un attento consumo critico, sia fondamentale per il benessere umano e del pianeta. Dalle mele con le sfumature del giallo a quelle verdi, fino alle rosse che spiccano tra le foglie dei boschi, ma anche mele rosa, ognuna con il suo caratteristico colore, che torna oggi da un passato antico e che con i suoi profumi riesce inevitabilmente a inondare l’aria tersa di questo meravigliosa terra senza tempo.
Foto di copertina di Emanuele Scocchera
Giornalista