Sono passati 54 anni, era un giorno di pioggia come tanti a Firenze che divenne una giornata che mai è stata dimenticata. Tanto dolore per chi l’ha vissuta in prima persona, tanto dolore per chi non dimentica. Un’alluvione ricordata dai libri di storia, dai nostri nonni, da foto che parlano da sole, quell’alluvione che colpì la città d’arte per eccellenza, un piccolo capolavoro del centro Italia e che si ritrovò, per fortuna nella sfortuna, al centro di una lunga gara di solidarietà, che vide coinvolte migliaia di persone, tra questi molti, moltissimi giovani che scavarono a mani nude e coi badili, pur di arrivare giù nel fango e salvare un indiscutibile patrimonio artistico di cui l’Italia porta il vanto. Era la notte del 4 novembre, il maltempo imperversava da giorni e giorni su tutto il Nord d’Italia, e l’Arno d’argento, come canta la canzone, ruppe gli argini, portando Firenze sott’acqua. Un disastro che devastò anche altre regioni, come il Veneto, il Trentino Alto Adige e il Friuli, che subirono ingenti danni.
Tutta la mattina l’acqua non smetteva di scendere, sottoforma di potenti gocce di pioggia, e al contempo la piena del fiume Arno arrivò a Piazza della Signoria, al Duomo, allagando tutta la città. Qualcuno riuscì a scappare, trovando rifugio sulle colline circostanti, guardando dall’alto una Firenze sommersa. Molte le persone che rischiarono la vita e molte anche le opere d’arte: quadri dal valore inestimabile, oggetti preziosi, beni artistici. Mentre arrivavano i primi soccorsi, dall’esercito ai vari corpi delle forze dell’ordine, fino ai bagnini della Versilia che giunsero con pattìni e gommoni, l’Arno proseguiva la sua folle corsa, rompendo gli argini a Santa Maria a Monte e sommergendo Castelfranco di Sotto e Santa Croce sull’Arno. Con l’alluvione ci si rese conto che mancavano servizi essenziali equivalenti a quelli che oggi espleta la Protezione Civile e i cittadini non furono avvertiti dell’imminente fuoriuscita del fiume, a parte alcuni orafi di Ponte Vecchio che ricevettero una telefonata di una guardia notturna che li invitava a svuotare le loro botteghe. Le attività agricole e dell’allevamento ebbero un colpo di grazia dopo un periodo già di per sé critico e, purtroppo, molti contadini e allevatori della zona, avendo perso tutto il materiale e le mandrie sotto le acque, decisero di non riavviare le proprie attività e di impiegarsi nell’industria o di aprire piccole attività artigianali o commerciali. Il numero delle vittime fu fissato a 35, di cui 17 a Firenze e 18 nei comuni della provincia.
Giornalista