Il Sannio è terra di bellezze e prelibatezze, terra di storia e di grandi passioni. Fiumi, bosco e sottobosco, montagna e colline, clima abbastanza temperato offrono una gran varietà di prodotti e sapori genuini che col tempo si sono affermati e tramandati di generazione in generazione. La cucina sannita si compone di un caleidoscopio di sapori, aromi, colori che esaltano e allietano l’animo. Specialità culinarie essenzialmente semplici, segreti e regole che tutt’ora restano ben radicate nella tradizione popolare e che vengono costantemente tramandate di madre in figlia, o di padre in figlio. La cucina del territorio di Benevento e del Sannio molisano si veste non solo di sapore, ma anche di storia e dà valore alla tradizione di incontrarsi tutti a tavola dopo una giornata o una settimana di duro lavoro. Il pranzo, infatti, era il momento in grado di regalare emozioni non solo per il palato, ma costituiva anche l’ora in cui la famiglia si riuniva e la cucina, con i suoi piatti, era il punto d’incontro fra il gusto e il valore dello stare assieme, soprattutto in occasione delle feste religiose. Gli ingredienti base della gastronomia del Sannio sono ancora quelli della cucina povera, ma estremamente genuina. Ortaggi freschissimi, carni di agnello e capretto, farina di grano duro, formaggi di allevamento nostrano, fatti di materie prime di qualità e cure attente nella preparazione che trasformano questi piatti in piccoli capolavori.
CARDONE. La cucina contadina, o se volete i piatti poveri, sono quelli più apprezzati per eccellenza: non hanno età, non vi è trascorrere dei decenni che tenga: le tradizioni sono lente a morire e il sapore della cucina semplice ha tutt’altro valore. Tra le specialità più conosciute del Sannio, oltre che in Abruzzo, spicca la zuppa di cardone: uno straordinario piatto unico, tipico del periodo natalizio. La ricetta è originaria dell’Abruzzo e del Molise, e i sanniti beneventani l’hanno ereditata grazie alla vicinanza con la piccola regione molisana. Dato che la notte della Vigilia di Natale si mangia tanto, fino a scoppiare, la tradizione vuole che il giorno di Natale faccia da protagonista sulle tavole sannite e abruzzesi addobbate a festa questo meraviglioso piatto dal sapore genuino, la cui vera storia ci riporta nelle campagne di una volta. In passato, infatti, per il giorno di Natale i contadini mettevano da parte la loro gallina migliore, nel caso me possedessero una, altrimenti raccoglievano le verdure che la campagna donava loro. Un ortaggio invernale che abbonda nel Sannio è il cardo, con la sua forma simile al sedano, appartenente alla famiglia dei carciofi. La ricetta è quella di una zuppa che riprende l’idea del consommé con l’aggiunta di cardi, da cui deriva il nome cardone, brodo di pollo lesso, uova sbattute, polpette di carne macinata e pinoli. Il termine zuppa fa pensare a una pietanza leggera, ed è poco indicato per rappresentare la ricchezza di questo piatto, citato per la prima volta in un manoscritto molisano ottocentesco ma nato molto prima, nelle cucine dei contadini e pastori del centro Italia, che per un solo giorno all’anno mettevano da parte i loro pasti frugali concedendosi un cibo da re. La preparazione è un pò lunga poiché si comincia il giorno precedente con l’eliminazione del sapore amaro dai cardi, e forse è proprio per questo che si tende a cucinarlo solo una volta l’anno. Molti fra coloro che leggeranno questa ricetta forse non si troveranno d’accordo, perché la ricetta della zuppa di cardone varia anche se di poco, da famiglia a famiglia, e tra le regioni stesse a seconda delle tradizioni tramandate, dei gusti personali e delle abitudini, anche se la modalità di preparazione è grosso modo standard. Io, essendo una sannita beneventana, vi propongo questa variante.
Ingredienti: lt. 2 di brodo di cappone o di pollo/ due cespi di cardone/ gr. 500 di carne di vitello macinata/ 5 uova/ mollica di pane raffermo/ pecorino grattugiato/ una manciata di pinoli e di uva passita/ un buon pizzico di pepe macinato/ sale. Pulire il cardone, tagliare in pezzi regolari e lasciarli riposare in acqua e limone il giorno precedente; scolarlo e lessarlo al dente in acqua salata e poi sciacquarlo sotto al getto di acqua fredda per mantenere vivo il suo colore. Preparare il brodo di pollo di cappone; indorare in olio bollente le polpettine preparate con macinato di vitello, uova, mollica di pane raffermo sbriciolata finemente, sale e pepe; filtrare il brodo e in esso aggiungere il cardone e le polpettine; lasciare bollire per circa 30 minuti e aggiungere pinoli, uva passita, un uovo battuto con il pecorino grattugiato, mescolando per circa dieci minuti, per formare una sorta di stracciatella; continuare la cottura per circa 15 minuti. Servire bollente con crostini di pane.
‘MBANATA. È invece tutta beneventana, o meglio originaria del comune di San Lorenzo Maggiore, in provincia di Benevento, la ‘mbanata, forma dialettale di impanata, piatto della tradizione sannita a base di verdure raccolte in campi lontani da strade di grande traffico: cicorie, cicorioni, finocchi, scarola, cardilli, che crescono spontaneamente dall’inizio della primavera nel territorio sannita e che ancora oggi si possono trovare in vendita nei mercatini locali raccolte da mani esperte; e poi marrascioni, foglie di rapa e verza, tutte preferibilmente di campo, selvatiche, per poter garantire un gusto e una genuinità d’altri tempi a una ricetta che utilizza un’altra specialità tipica del territorio beneventano, il fagiolo di San Lupo. Una varietà unica e molto particolare di fagioli, che dall’antichità è conservata inalterata fino ai giorni nostri. Si tratta del “fagiolo della regina”, in quanto protagonista di un aneddoto legato a un nobile del luogo che, nel periodo di regno di Ferdinando II di Borbone, usava regalarli alla corte. A legare le verdure con questi tipici fagioli, troviamo la pizza di granoturco, che deve essere croccante al punto giusto da potersi sbriciolare e mescolare, andando a completare degnamente la saporita ‘mbanata.
Ingredienti per 4 persone: 2 kg di verdure lesse (cicorie, cicorioni, finocchi selvatici, scarola selvatica, cardilli, marrascioni, foglie di rape, verza)/ 1 kg di farina di mais/ 300 gr di fagioli della regina o, in mancanza, borlotti/ 200 gr di patate lesse/
peperoncino/ semi di finocchietto/ aglio/ olio extravergine di oliva/ sale
Mondare, lavare e lessare le verdure in acqua bollente salata per 20 minuti circa. Scolare, non completamente. Contemporaneamente, lessare i fagioli e le patate. A parte, in una pentola abbastanza grande, far bollire circa 2,5 litri di acqua salata, nella quale, a ebollizione avvenuta, calare una manciata di semi di finocchietto e una tazza di olio. Senza togliere la pentola dal fuoco, versare lentamente, a pioggia, la farina di mais, mescolandola con un cucchiaio di legno, e facendola cuocere per almeno un quarto d’ora. A parte, preparare una teglia, versandovi una tazzina di olio sul fondo. Versare l’impasto ottenuto nella teglia facendo attenzione a non ottenere uno spessore che superi i 4 cm circa. Pennellare l’impasto in superficie con dell’olio e infornare per 35 minuti. L’impasto dovrà essere croccante al punto giusto, sia in superficie che sul fondo. Intanto, in una padella far imbiondire uno spicchio d’aglio in circa 200 gr di olio. Versare poi le verdure lesse e salare a piacere, aggiungendo un pizzico di semi di finocchietto e peperoncino. Fate insaporire per almeno mezz’ora. Aggiungere al composto la pizza di mais, sbriciolandola e mescolandola alla verdura con il cucchiaio di legno. Fare insaporire per altri dieci minuti mescolando continuamente e servire calda.
CICORIA RICAMATA. Per finire, parliamo di un tipico piatto molisano, a base di ciccoriella selvatica, erba apprezzata in passato per le sue proprietà medicinali, e solo successivamente impiegata a scopo alimentare. È una pianta che incarna il principio del mangiar sano e genuino, fa stare meglio, secondo le antiche tradizioni, dal gusto amarognolo, le cui proprietà terapeutiche aiutano l’intero processo digestivo. La cicoria ricamata è una minestra di cicoria cotta in brodo di gallina, uova e pecorino, che proprio da questo formaggio acquista un sapore particolarmente squisito. Le uova vengono aggiunte alla fine, strapazzate. È, insieme al fiadone e alla frittata pasquale, uno dei piatti tipici della Pasqua in Molise. Anche in questo caso, la ricetta mi è stata data da una famiglia in particolare, che probabilmente utilizza una certa variante.
Ingredienti: 500 g di cicoria/ 100 g di pecorino/ 80 g di guanciale/ 4 uova/ una cipolla/ una carota/ una costa di sedano/ brodo di carne q.b./ sale/ pepe/ olio extravergine d’oliva. Prendere la cicoria e farla lessare in acqua bollente salata. Una volta che sarà morbida, strizzarla e lasciarla da parte. Preparare un soffritto con cipolla, carota e sedano, e farlo andare in una casseruola a doppi manici con olio extravergine e allungando con un cucchiaio di brodo di gallina per ammorbidire. Aggiungere il guanciale e, quando sarà croccante, inserire anche la cicoria. Continuare la cottura con il brodo di carne. Dopo circa 15 minuti, inserire le uova sbattute con il pecorino grattugiato, e quando saranno cotte, spegnere il fuoco. Servire la zuppa calda con del pane tostato, e buon appetito!
Giornalista