Siamo a due passi dal Lago di Occhito, in quel Molise fortorino separato dalla Puglia dal lungo fiume che unisce tre regioni, le cui sponde sono ricoperte da querce, lecci e pini marittimi, zona molto apprezzata dagli amanti della natura e dai pescatori, grazie alla richezza ittica che le acque del Fortore hanno. Gambatesa è un borgo che non arriva a contare le duemila anime, il cui toponimo, probabilmente, deriva da un difetto fisico di uno degli appartenenti alla famiglia dei Pietravalle, una delle proprietarie del borgo nel periodo feudale, che avrebbe fondato il castello. Un fortilizio che già dal suo esterno lascia immaginare le continue trasformazioni che nel tempo ha subito: infatti, da fortezza medievale si è poi trasformato in un palazzo rinascimentale, con la sua maestosa struttura di forma quadrata, la merlatura guelfa su un lato e le torri angolari che risalgono all’epoca medievale, e le finestre e la loggia con i tre archi a tutto sesto, e il portale in bugnato, tipicamente rinascimentali. In ogni caso, il basamento, le mura di una certa altezza e la posizione del castello, a guardia della sottostante Valle del Tappino, richiamano al suo naturale progetto architettonico di fortificazione nata per esigenze difensive. Si tratta di un edificio che è il vero sigillo identitario di questo borgo fortorino, edificato su quattro livelli, che conserva le sue funzioni passate di stalla e magazzino. Non mancano, però, lustri e meraviglie, come una grande scalinata esterna a tre rampe, nel cui interno è conservato un ciclo di affreschi realizzato da Donato da Copertino e dai suoi allievi nel 1550, che decorano il salone e alcune stanze. Si suppone che Donato da Copertino fosse stato allievo del Vasari durante il suo soggiorno a Napoli e Roma, tra il 1540 e il 1550. Notevole è l’affresco nella saletta detta delle Maschere, dove si può notare la struttura della Basilica di San Pietro, ancora in costruzione, e l’obelisco vaticano. E poi, pareti con rappresentazioni di paesaggi, scene mitologiche, allegorie e pergolati di notevole livello artistico, alta espressione del manierismo cinquecentesco. Inoltre, ampi locali destinati a residenze, che probabilmente nei secoli passati erano decorati con affreschi, e una bellissima vista panoramica dalla sua terrazza merlata sull’intero borgo e sulle limpide acque del lago.
In questo periodo dell’anno, Gambatesa freme. Freme di tradizioni e di vita, nel desiderio di salutare il vecchio anno e dare il benvenuto al nuovo, nella maniera più radicata che possa appartenere al suo borgo. Quest’anno è tutto sospeso, tutto in balìa del ricordo degli anni passati, tutto in attesa di un ritorno e della rinascita. Eppure, chiudiamo gli occhi e immaginiamo che nulla sia cambiato. Ogni anno a Gambatesa, il 31 dicembre si sente uno spirito folkloristico degno di nota e di festeggiamenti, per festeggiare il passaggio dal vecchio al nuovo. Una grande attesa, una lunga sensazione di impellente che sta lì a realizzarsi, la percezione di un evento che deve avvenire da un momento all’altro, in cui una intera popolazione, dopo un anno d’attesa, è pronta a reimmergersi nella secolare tradizione delle maitunat’. Un gran via vai, per le strade del borgo, in cui fremito, concitazione, eccitazione, movimento sono continui e incessanti, che scandiscono i battiti del cuore e delle emozioni. Qui antichi strumenti artigianali vengono affinati e personalizzati, gruppi musicali, divisi in squadre, prendono conformazione e identità e fissano il loro appuntamento. All’ora di cena, l’antico rito delle maitunat’ è pronto per essere nuovamente ripetuto, come ogni anno, come tradizione vuole: che lo spettacolo abbia inizio, e con esso il divertimento, la sua originalità, la sua popolarità, la sua goliardia, il suo spirito di festa! Un antico stornello risuona ovunque, tra canti e balli, ed esibizioni in un’atmosfera festosa, calda e coinvolgente.
Tutti sono coinvolti, giovani, anziani, adulti e bambini che improvvisano maitunat’ prendendo di mira, in tono scherzoso e canzonatorio, i padroni delle case in cui si recano. Nessuno se la prende con loro, perché godono di affetto e di immunità da ogni genere di rabbia o scherno. Ma lo scherno lo rivolgono loro, questi menestrelli che mettono alla berlina personaggi pubblici della vita paesana, cariche militari e sitituzionali, donne più seriose e donne più “allegre”, ma anche gente comune che ha fatto parlare di sé per qualche episodio eclatante. Ogni stornello ha un qualcosa di liberatorio, conserva la libertà di poter dire, almeno per una volta, quello che si desidera dire, e che a volte non si ha il coraggio di dire, senza timore di offendere o ferire nessuno. Fare una maitunat non è solo questione di abilità e qualità tecniche ma richiede un mix speciale di fantasia, genialità, ironia, capacità di improvvisazione e, non ultimo, una conoscenza approfondita del paese, dei suoi abitanti e dei fatti accaduti nel corso dell’anno. Poveri e ricchi, umili, potenti, belli e brutti: tutti ascoltano i musicanti e le maitunat’ di cui sono vittime. Le rime vengono create estemporaneamente dalla squadre, secondo uno stile che le caratterizza e le rende uniche rispetto alle altre. Terminate le Maintonate, viene aperta la porta e offerto a tutta la squadra da mangiare e da bere. Per quanto riguarda la strumentazione musicale troviamo l’organetto abruzzese, il sonagliere,gli acciarini, ma anche coperchi di pentola. Lo strumento che accomuna tutte le squadre, quello caratteristico, è il Bufù, una pelle di agnello gonfiata e tesa su un secchio di legno, sulla cui pelle viene incastrata una canna di bambù che viene strofinata ritmicamente dal suonatore con una pezza bagnata producendo così un caratteristico suono. Lo spettacolo va avanti fino al mattino, all’alba inoltrata, e quando sembra che la quiete sia arrivata, non bisogna adagiarsi: nel primo pomeriggio si rincomincia, ancora musica, ancora scherni, ancora canti popolari, ancora maitunat’. Questa volta, però, tutte le squadre protagoniste delle esibizioni notturne, a girar per case, sono pronte a sfidarsi davanti al pubblico, salendo a turno sul palco ed esibendosi, per ambire alla Sonagliera d’oro.
Si tratta di un’antichissima tradizione molisana, che a Gambatesa è considerata fiore all’occhiello, le cui origini, però, non sono molto note. Sono diversi i significati assegnati alla parola maitunat’, qualcuna avvicina la parola alla locuzione mai intonate, per via dell’estemporaneità con la quale i cantori eseguono lo stornello in modo improvvisato. ma questa tesi si può facilmente smentire perché il termine è utilizzato in molti altri paesi molisani nei quali lo stornello non è eseguito estemporaneamente. Molto probabilmente questi canti si possono collegare a quelli della questua, diffusi in tutta l’Europa mediterranea, con i quali i questuanti offrono, in cambio di cibi e bevande da parte del padrone di casa, un augurio (per il nuovo anno o per un buon raccolto), intonando degli stornelli con auspicio propiziatorio.
Giornalista