Sembra una beffa parlarne in questi giorni in cui il mondo è scosso dalla paura e dalla crisi da coronavirus, ma il calendario ce lo ricorda. Come se non fossero bastati i quasi dieci milioni di caduti della prima guerra mondiale, una tremenda epidemia si originò fra le trincee, facendo in modo che il numero dei morti salisse a quasi cinquanta milioni. Parliamo dell’influenza Spagnola, così chiamata perché i primi casi accertati e denunciati senza censura alcuna furono registrati in Spagna e portati alla conoscenza del mondo tramite l’Agenzia giornalistica spagnola Fabra, a partire dall’8 marzo 1918.
Il tremendo virus influenzale fu portato in Europa dai soldati statunitensi accorsi nel 1917 a dare man forte ai francesi sul fronte della Lorena, ma il contagio si estese a quasi un miliardo di persone nell’intero pianeta e in soli sei mesi uccise cinquanta milioni di persone, tra cui oltre seicentomila italiani. Il virus fu inizialmente considerato benigno, e causava una forte febbre con complicazioni di natura polmonare, il tutto risolvibile con tre o quattro giorni a letto. Purtroppo, le cose andarono diversamente e la medicina ufficiale si mostrò incapace dinanzi a quella che è stata considerata la più grave pandemia della storia. In un solo anno l’influenza uccise più persone di quante ne morirono in un secolo nel Medioevo a causa della peste nera. Questa pandemia è stata descritta come “il più grande olocausto medico della storia” e si dice che abbia ucciso più persone in ventiquattro settimane che l’AIDS in ventiquattro anni. Sono in molti a sostenere che la maggior parte dei morti fossero tra coloro che erano stati vaccinati, mentre si erano salvati quelli che si erano rifiutati di farsi vaccinare.
Giornalista