Quanto parla Benevento! Parla da sola della sua imponenza, della sua gloria, dei suoi beni artistici, storici, culturali. Parla la storia, parla la leggenda, parlano i miti e parlano i resti che il capoluogo sannita ci regala. Un piccolo capoluogo di provincia, nel cuore del Sannio, che ha tanto da dire, mostrare e raccontare. Siamo abituati a parlare di Maleventum, siamo abituati a parlare di streghe e Strega, di magie e del Noce; e ancora delle sue eccellenze gastronomiche conosciute in tutto il mondo, del suo territorio, immerso in quel Sannio storico e talmente vitato da non avere nulla da invidiare alle blasonate terre di vino italiane o di Oltralpe. Siamo abituati a parlare della Benevento romana, dell’età traianea. Ma poche volte ci soffermiamo sui culti egizi che sin dal II secolo a.C. venivano seguiti e praticati in città. Basta passeggiare nel suo cuore, nei suoi vicoli, nelle sue strade ricche di storia per imbattersi in preziose risorse che dovrebbero farci chiedere: “cosa c’entra il culto egizio con Benevento?”. Seguitemi, perché è proprio di questo che oggi vi voglio raccontare.
Nel cuore della città, lungo Corso Garibaldi, proprio al centro di piazza Paolo Emilio Papiniano, un obelisco egizi0 del I secolo d.C. si innalza verso il cielo. Andiamo con ordine. Nel museo cittadino Arcos, la sezione egizia del Museo del Sannio sita nell’edificio della Prefettura, è possibile ammirare una mostra permanente dal titolo Iside, la scandalosa e la magnifica. Delle sale espositive nelle quali ci ritroviamo catapultati nel bel mezzo di reperti egizi ed egittizzanti, ritrovati durate le lunghe campagne di scavo in città, dal 1903, nel corso dei lavori di ristrutturazione della Caserma dei Carabinieri, sita all’epoca nel Convento di Sant’Agostino, in prossimità dell’Arco di Traiano. Possiamo andare indietro nel tempo fino ad arrivare al I secolo d.C, quando regnava l’Imperatore Domiziano. E come dicevo poc’anzi, il culto per la dea Iside a Benevento si era ampiamente manifestato e sviluppato nel II secolo a.C. Chi era Iside? Parlo di una potente divinità dell’antico Egitto, sposa di Osiride, dea della Luna, della magia, della maternità, della fertilità e dell’agricoltura, versione esotica delle più importanti divinità romane al femminile. Come afferma Wikipedia “Molti studiosi si sono concentrati sul nome di Iside per riuscire a determinare le sue origini. Il suo nome egiziano era ꜣst o Aset, che diede la base per la forma coptica ⲎⲤⲈ (Ēse) e per il suo nome greco Ἰσις, su cui è basato il suo nome moderno. Il nome in geroglifico è composto dal segno di un trono, che Iside indossa anche sul capo come simbolo della sua identità. Il simbolo serve come fonogramma, ma potrebbe anche rappresentare effettivamente un legame con i troni. […] Qualunque siano le sue origini, Iside è strettamente connessa con il ruolo del re all’interno dei testi delle piramidi, la più antica fonte che descriva la sua natura. Il ciclo di miti intorno alla morte di Osiride e alla sua resurrezione si trova per la prima volta all’interno dei testi delle piramidi. Esso diventò uno dei miti egiziani più elaborati e influenti. Iside ha un ruolo più attivo in questo mito rispetto agli altri protagonisti, e per questo, quando cominciò a svilupparsi all’interno della letteratura dal nuovo regno al periodo tolemaico, diventò uno dei personaggi letterari più complessi fra le divinità egizie. Allo stesso tempo, Iside assorbì diverse caratteristiche da altre dee, portando la sua importanza anche oltre il mito di Osiride. Durante il periodo tolemaico era spesso considerata una divinità universale”.
E proprio Domiziano pare fosse l’imperatore romano protetto dalla divinità egizia. Secondo la leggenda, durante i tumulti per la successione all’impero, dopo il suicidio di Nerone, l’imperatore Vitellio, temendo di essere spodestato da Vespasiano, cercò di ucciderne il figlio Domiziano arroccatosi sul colle Campidoglio, a Roma. Il giovane e futuro imperatore si travestì da sacerdote isiaco e, nascosto tra la folla, raggiunse l’Iseo del Campo Marzio dove trovò rifugio. Ecco la nascita del profondo legame tra l’imperatore e la dea, che Domiziano vedeva come una madre protettiva. Domiziano, addirittura, per atteggiarsi a faraone, si proclamò figlio della dea. Questo il motivo per cui fece erigere l’Iseo, il Tempio di Iside, proprio a Benevento, crocevia dei due mondi di cui si riteneva padrone unico e assoluto. Proprio qui, infatti, la via Appia e la via Latina si incontravano, nella città sannita, rendendola un importante nodo delle comunicazioni fra Roma e l’Oriente. Del tempio, a livello architettonico, non si ha traccia alcuna, ma è certo che fosse in perfetto stile egizio, con statue e sfingi importate dalla terra del Nilo risalenti all’epoca degli antichi faraoni, certamente non realizzati in loco, di pregevole fattezza, ma anche dai tratti più coevi ai suoi tempi. Esso risale all’88-89 d.C. e fu costruito da Rutilio Lupo. Una vera e propria novità per la popolazione del Sannio che fino ad allora era solita praticare culti pagani diversi da quelli romani. Una novità che cominciò a far accorrere dall’intera regione folti gruppi di pellegrini per visitare la magnificente struttura.
Vennero eretti anche due obelischi, con l’augurio di un ritorno vittorioso di Domiziano da qualche impresa bellica, che potrebbe essere stata in Dacia o in Pannonia, uno integro, quello di piazza Papiniano, e uno frammentario ma ben restaurato, posto nella ricostruzione del tempio alla fine del viale di sfingi messe a guardia del luogo sacro. Essi, eretti in concomitanza con l’inaugurazione del tempio di Domiziano, danno a Iside l’appellativo di “Signora di Benevento”: ciò testimonierebbe che, a quel tempo, il culto della dea era già presente e ben radicato in città. Il primo fu collocato nel 1597 davanti al Duomo e vi rimase fino al 1869. È realizzato in granito rosa, pesa circa 2 tonnellate e mezzo, è alto circa tre metri, alla stregua del secondo, da considerarsi suo gemello. L’obelisco conserva geroglifici perfettamente leggibili sulle quattro facciate. Tra le altre cose, vi si legge “la Madre del Dio, Sothis, signora delle stelle, signora del cielo, della terra e del mondo sotterraneo”, e ancora “occhio del sole”, confermando il carattere plurisfaccettato che la dea aveva assunto da diversi secoli. Diversa è la vicenda del ritrovamento del cosiddetto Bue Apis, in granito rosso ma struttura alquanto rozza, che volgarmente viene definito a bufara. L’egittologo francese Émile Étienne Guimet considerò la statua una rappresentazione della divinità egizia Api, da mettere quindi in relazione con il tempio di Iside eretto dall’imperatore Domiziano nel I secolo. La denominazione fu poi usata dallo storico Almerico Meomartini e da altri. L’opera fu casualmente scoperta nel 1629 in località Maccabei, oltre il fiume Sabato, sulla strada di Avellino, e si decise allora di farne ornamento della Porta di San Lorenzo. Per il trasporto e l’installazione dell’opera sul luogo attuale, gli operai furono pagati in natura con un chilo di cipolla e una pagnotta di pane. Hans Wolfgang Müller, egittologo tedesco, osserva che mancano i caratteri distintivi del dio come il disco solare tra le corna, l’indicazione del sesso (non visibile per via dell’unico blocco marmoreo) e le gambe in movimento, per cui l’osservazione critica mette in dubbio che essa sia davvero un simulacro del dio egizio. A giudicare dall’esecuzione plastica, si dovrebbe assegnare la figura alla tarda età imperiale, ossia alla fine del II secolo, se non a un’epoca ancora posteriore. In ogni caso, i numerosi elementi e rinvenimenti archeologici fanno di Benevento una delle città con maggior concentrazione al mondo di reperti egizi ed egittizzanti scoperti fuori dall’Egitto, un prezioso unicum di storia archeologica, senza dubbio il più consistente e organico apparato di manufatti egizi scoperti in Europa. Secondo Müller, forse vi erano addirittura tre templi dedicati alla dea, ossia il tempio di Iside Pelagia, protettrice dei naviganti (anche se la cosa appare molto strana per una località lontana dai mari), e il sacrario di Osiride-Canopo.
In copertina, sala del Museo Arcos, foto tratta da Wikipedia
Giornalista