Caiazzo è un’antica città della Media Valle del Volturno, che si estende su un ampio territorio collinare, di stampo agricolo, grazie alla grande presenza di ulivi, che danno vita al pregiato olio della Oliva caiazzana, di viti e al corso del fiume Volturno. La fertilità della zona, data proprio grazie al percorso fluviale, permette la produzione di uno dei vini preferiti dai Borbone, il Pellagrello. Caiazzo si adagia proprio al confine fra la Terra di Lavoro e il Sannio beneventano. Le sue origini sono antichissime: una leggenda narra che Caiatia, questo il toponimo romano, provenga dalla ninfa Calatio, figlia del Tifata, che con il dio Volturno “prendeva sollazzo”. La ninfa, dato il forte timore che il padre la scoprisse, fuggì per fondare la città. L’impianto della città ha una caratteristica struttura ottagonale che oggi si è conservato quasi intatto. Il decumano è intersecato da tante stradine che danno vita a numerosi vicoli sui quali affacciano diversi edifici con testimonianze architettoniche e artistiche che vanno dal periodo Romano al Medioevo, al Rinascimento fino al Barocco.
La città subì l’influenza degli Etruschi nel periodo di espansione in Campania e, dopo la decadenza del loro dominio, divenne centro sannita sotto l’influenza della tribù dei Caudini. I Sanniti, a differenza dei Greci e dei Romani, costruivano villaggi sparsi e sistemati su alture, ciascuno con la propria necropoli. Fu così che nacque Caiazzo, ma anche Trebula (Pontelatone) e Villa Santa Croce (Piana di Monte Verna). E Caiazzo, abitata già in età preistorica, fu fondata dagli Osci tra il IX e l’VIII secolo a.C., come confermato da alcuni tratti delle mura pelasgiche. In cima alla collina su cui Caiazzo si distende, c’è un castello medievale che conserva dei resti di queste mura costruite proprio dagli Osci. Le mura suddette possono essere datate fino al IV secolo sec a.C.. Ciò vuol dire che lassù i Sanniti, abitavano, con la loro acropoli, fino alla fine delle guerre sannitiche, quando l’abitato si spostò più in basso. Nel suo antico passato, Caiazzo era una città a carattere prettamente sacro, molto religiosa, così come si conveniva a un popolo politeista qual era quello dei Sanniti. Le mura, chiamate anche ciclopiche, o pelasgiche, sono costituite a secco, formate da enormi blocchi calcarei dal peso di decine di tonnellate, uniti senza l’uso di malta o di perni, ma solo grazie al loro peso e alla loro corretta sistemazione che ne danno un buon equilibrio. Sono costituite da blocchi dalla forma irregolare. Si tratta di un vero e proprio capolavoro di architettura dell’antichità, considerato che all’epoca non esistevano i mezzi meccanici che abbiamo oggi. Tali fortificazioni sono molto diffuse nella zona del Medio Volturno, e trovano il loro antico modello nelle mura greche di Tirinto, Argo e Micene. I Greci ne parlarono come costruzioni per mano dei ciclopi oppure del mitico popolo dei Pelasgi,motivo per cui prendono tali appellativi. Il castello fu edificato dai Longobardi e subì un primo restauro sotto i Normanni. Lo storico Alessandro Telesino racconta che il re, salito sul castello, decise di fortificarlo ordinando a tutti i maggiorenti di costruire le loro case intorno a esso per dimorarvi assieme a tutti i cavalieri. Era una decisione di estrema importanza, che portò a un gran numero di abitanti che esercitava la milizia. Oggi il castello è di proprietà privata, è molto cambiato nella sua fisionomia, dopo estremi rimaneggiamenti avvenuti nel XIX secolo.
Di Caiatia si conservano scarsi resti e numerose pietre sepolcrali. Alcune di queste lapidi sono di carattere onorario e vi portano impressi i nomi della casa imperiale Giulia: è molto probabile, infatti, che la città acquisì parecchi privilegi grazie alla benevolenza della famiglia imperiale in questione. Dell’antica Caiatia sono note monete emesse tra il 268 a.C. circa e la seconda guerra punica che recano al dritto la testa di Minerva con un elmo corinzio ornato da un lungo pennacchio e sul retro un gallo girato verso destra. Avanti al gallo c’è la scritta CAIATINO, mentre dietro all’animale una stella a otto raggi.
Giornalista