Una delle tradizioni più suggestive e immaginifiche della mia infanzia è quella che prendeva vita tra la notte dell’1 e del 2 novembre; mia madre disponeva in una stanza una decina di lumini che accendeva perché, a suo dire, durante quella notte le anime dei morti sfilavano per i cieli bui e proprio quelle fiammelle sarebbero servite per rischiarargli il cammino. Di tale processione racconta Giuseppe Pitrè (ricercatore e studioso di tradizioni popolari):
“I vivi possono assistere stando sul davanzale della finestra o sul terrazzo e, senza mai sollevare gli occhi, completamente assorti, guardano dentro un catino o una bacinella contenente acqua, illuminata solo dalla luce di una candela, nelle ore del silenzio notturno; ma, se si riconosce un parente, guai a parlare ed a chiamare i Morti, si rischia di perdere la parola o di morire addirittura!”
Il Pitrè racconta, che nel viaggio, le anime, seguono quest’ordine:
“Il primo è l’angelo rappresentante che porta la croce avanti. Appresso chi porta pentimento di quei peccati dimenticati; I bambini morti senza battesimo; Le anime sante decollate (impiccate-senza testa; Morti impiccati e annegati; Anime di chi è stato avvelenato, si sono uccisi e furono uccisi; Chi di tutti è dimenticato; Chi è morto soldato; Buttati, caduti, schiacciati-scacciati; Chi ha rubato; Chi ha abbandonato i propri figli a sconosciuti; Chi ha lanciato fattura e magia; Chi con le cose Sante fa mercato (vendere oggetti sacri-simonia); Chi si è preso-rubato oggetti in chiesa; Chi con i soldi degli altri ha mangiato; Chi è morto con patimento-sofferenza; Chi da morto non è stato trovato; Chi da morto non è stato seppellito.
Quest’elenco conferma la credenza che vuole che le anime dei defunti avessero sorte differente l’una dall’altra, non tanto in base al comportamento tenuto in vita, ma in base al modo in cui era avvenuto il trapasso. Poi vengono le anime del purgatorio ” …che si dicono il rosario, questi portano meno peso hanno già un viso più sereno”. Il Purgatorio, ricorda Jacques Le Goff, celebre medievalista francese, è un’invenzione medioevale che trova in Dante il massimo rappresentante: “Il Purgatorio di Dante rappresenta la conclusione sublime della lenta genesi del Purgatorio avvenuta nel corso del Medioevo“. Il problema del Purgatorio, viene posto per la prima volta da Sant’Agostino, che si pone la domanda: dove trovano posto i destinati al cielo che non erano stati né tanto cattivi da meritarsi l’inferno né tanto buoni da essere elevati in paradiso? Il Purgatorio è il luogo dove le anime dei fedeli che non si sono purificati del tutto dai loro peccati possono essere aiutate a raggiungere il Paradiso tramite la preghiera e le offerte dei cari ancora in vita.
La scelta di collocare a novembre “la festa dei morti” è dovuta al fatto che in questo periodo la natura stessa sembra morire, le giornate si accorciano e il buio guadagna tempo sulla luce. Nel Medioevo la giornata prescelta era la domenica che precede di due settimane l’inizio della quaresima, quindi fra gennaio e febbraio. Il rito attuale fu istituito nella prima metà dell’XI da papa Giovanni XIX, sulla scorta dell’abate di Cluny, Odilone, che nel 998 fece suonare le campane funebri dopo i vespri del 1 novembre e il giorno successivo offrì l’eucarestia “pro requie omnium defunctorum”. Secondo la tradizione, i defunti iniziano il loro cammino alla mezzanotte del 2 novembre per terminarlo, non a caso, il 6 gennaio, quando nei culti antichi latini si celebrava la morte e la rinascita della natura; la Befana stessa rappresenta la personificazione femminile dell’inverno che viene bruciata come (la vecchia) ad indicarne la fine in un tripudio di luce. Durante il viaggio, i morti, tornano dai loro cari che accendono dei lumini in loro ricordo e lasciano cibo in modo da nutrirsi durante il cammino e legna nei caminetti per permettere loro di scaldarsi. Il consumare il cibo richiama le radici celtiche della festa dei morti. In area celtica ai primi di novembre si celebrava Samhain (unione), riunione tra i viventi e dei viventi con i loro defunti, una delle più importanti feste stagionali. La notte della vigilia gli spiriti dell’oltretomba potevano temporaneamente fare ritorno alle loro antiche dimore per riunirsi con i propri antenati e festeggiare con banchetti a base di maiale.
Il fiore dei defunti è, secondo la tradizione italiana, il crisantemo che al contrario in Giappone è fiore nazionale e si usa per le nozze e in molti Paesi del Nord Europa è simbolo di vita, forza d’animo e pace, e viene usato per ornare la casa. Ogni regione ha le sue tradizioni locali; quelle più suggestive e che sembrano, a ragione, essere state le origini di letture in chiave moderna sono la Sicilia in cui i bambini, se sono stati buoni e hanno pregato per i loro cari defunti, ricevono da quest’ultimi, il 2 novembre, dolciumi e regali, che ricordano i doni della Befana del 6 gennaio. In Sardegna il 2 novembre i bambini si recano di porta in porta per chiedere offerte e ricevere in dono pane fatto in casa, fichi secchi, fave, melagrane, mandorle, uva passa e dolci, una versione della moderna festa di Halloween. Nell’antica Grecia si credeva che i morti ritornassero al calare della sera per apparire ai vivi e da questo, alcuni credono abbia avuto origine la figura dei fantasmi dove il lenzuolo altro non è che la lunga tunica con cui venivano avvolti i defunti. Sul piano culturale, “la festa dei morti” s’iscrive, più in generale, in quel processo che mette in contatto il cielo alla terra nella ricerca di un orizzonte “consolatorio” che dia un senso al mistero della vita. Il dramma cosmico dell’avvicendarsi di vita e morte, di luce e tenebre.