Il Medioevo è il periodo in cui la simbologia del sangue si riempie di significati mistici, di prodigi farmacologici, di sogni alchimistici. Il sangue permea una società violenta, crudele: forche, patiboli, teste infilzate sulle picche, cadaveri lasciati marcire dentro le gabbie delle torri, appesi agli alberi e scarniti dai rapaci. Un sistema culturale che rientrava in una logica della vita dell’uomo smarrito, impaurito, che cercava di dare un senso al suo rapporto con gli elementi e il cosmo. Il sangue di Cristo entra in questo orizzonte, raccoglie in sé tutta la narrazione pagana intorno al sangue, ne cancella ogni simbologia precedente e assorbe ogni desiderio di salvezza nella mistica della passione. La flagellazione di Gesù diventa una passione collettiva che trovava una sua rappresentazione nei riti della Settimana Santa, in cui gli eccessi particolarmente cruenti davano una giustificazione al sacrificio di Cristo.
La flagellazione consisteva, presso i Romani, nel rimanere sei ore appesi alla croce, inchiodati mani e piedi, nell’attesa di una morte lenta fra gli spasimi e lo scherno dei presenti, un sommarsi di violenze fisiche e morali. Proprio questo sacrificio costituisce l’origine di molti riti che trovano nella penitenza corporale l’essenza mistica, il riscatto dal peccato non necessariamente privato ma collettivo (nessuno si salva da solo). Nel Medioevo fanno la loro comparsa i Flagellanti, nelle sue memorie il cappuccino Carlo Girolamo Severoli racconta che.
” Nella città di Fano giunto il tempo della settimana santa i penitenti addoppiavano i flagelli con catene di ferro e con altri siffatti durissimi strumenti e si percuotevano sulla nuda schiena con tale spietata maniera che non bisognava essere presente chi non voleva restare inorridito.”
Molti riti penitenziali, tra cui quelli settennali di Guardia Sanframondi, trovano nella sacralità del sangue una loro composizione: i riti di guardiesi si muovono nell’orizzonte del valore ascetico del sacrificio, nella partecipazione commossa del popolo. Una caratterizzazione unica e particolare che si risolve nella figura del battente che trova nel sangue il riscatto alla propria condizione di peccatore, una teoria sicuramente influenzata dalla dottrina dei padri filippini che diffusero la devozione per San Filippo Neri nella cittadina; santo che diede un’interpretazione forte e unica alla mistica del sangue. San Filippo Neri ebbe per il sangue divino una devozione ossessiva. Racconta un’autorevole biografa: “…nel sumere il sangue, lambiva e succhiava con tale effetto il calice che parea non si sapesse staccar da quello: avendo consumato nell’orlo non solo l’indoratura, ma ancora l’argento e avendovi lasciato impresso insino i segni dei denti.”…”quando occorrea che gli uscisse il sangue dal naso o dalla bocca, pregava il Signore che ne uscisse tanto che in qualche modo potesse corrispondere al sangue da lui sparso per amor suo.”
La storia del sangue filtrata attraverso la mentalità popolare ci racconta fatti straordinari e curiosi dove il sangue trova una sua puntuale narrazione: “Se durante la messa” prescriveva la dottrina della Controriforma” ‘l sangue uscisse fuor dal calice, subito con ogni prestezza si dee nel medesimo calice riaverlo… E se ‘luogo ov’è caduto, è sopra una tavola, dapoi che con lingua leccando avrà sorbito” se il celebrante aveva la barba “dovrà anche raderla e quella rasura abbruciarla”. Se poi fosse caduto sopra la barba “oltre averla lavata per tre volte, si debbono anche radere i capegli e abbruciarli e le ceneri riporle nel Sacrario”.
Al sangue, nella mentalità popolare, appartiene anche una realtà più leggera e giocosa: sperma, midollo, testicoli di gallo o toro mischiati a sangue mestruale erano gli elementi base per gli elisir di lunga vita. In cucina il sangue trionfava: migliacci, sanguinacci, cervellati, budini, sangue bollito, frittelle di sangue. Il carattere sanguigno veniva dal riconoscere nelle persone la presenza di sangue fresco che le rendeva gioviali e cordiali e questo era presente soprattutto nelle persone dai capelli rossi ( per l’associazione del colore dei capelli con quello del sangue), nella credulità popolare meridionale il rosso, al contrario, viene associato alle persone “cattive” ( malpelo). Negli uomini “sanguigni” si credeva che il sangue fosse più caldo di quello delle donne perché il sesso femminile è dominato dalla fredda luna.
Nel secondo Cinquecento, facendo riferimento al carattere sanguigno, trenta cose distinte tre a tre, erano ritenute necessarie a una donna per essere bella e seducente: Tre bianche: carne, denti e faccia; Tre negre: occhi, ciglia e petignone (peletti della natura); Tre rosse: labbra, guance e unghie; Tre longhe: persona, capelli e mano; Tre corte: denti, orecchie e piede; Tre larghe: petto, fianco e fronte; Tre strette: bocca, centura (fianchi) e natura (vi lascio indovinare?); Tre grosse: cosce, braccia e trecce; Tre sottili: capelli, labbra e deta (dita); Tre piccole: bocca, naso e mammelle.
Medea ringiovanisce Esone, padre di Giasone, cavandogli il sangue vecchio e rimettendone di nuovo; in epoche in cui le emorragie rappresentavano un dramma, la trasfusione di sangue nuovo diventava una delle pratiche mediche più utilizzate. Marsilio Ficino riporta nei suoi scritti: “spuntare la vena del porco e riceverne il sangue, che ne zampilli, con una spugna bagnata in vino caldo e poi tosto così calda applicarla allo stomaco” .
Col passare degli anni le trasfusioni da animali andavano perdendo posto e a esse si sostituirono quelle per mezzo di fanciulli, un’operazione chirurgica diffusa specialmente tra gli inglesi che si ritengono gli inventori di tale pratica: “Tagliavano (racconta il medico bolognese Camillo Brunori, 1681-1765) l’arteria o carotide o crurale di chi dovea donare il sangue e dentro quel taglio introducevano un canelletto o d’argento o di cristallo o d’altra materia che si piegasse ver quella parte d’arteria onde il sangue veniva”. Il sangue silenzioso scorre e si annoda alla vita, alle sue passioni, ai suoi turbamenti, in alcuni racconti popolari alimenta una lucerna che viene chiamata “La lucerna della vita e della morte” che brilla prima forte e di un rosso intenso per poi affievolirsi, scolorire e infine spegnersi seguendo il nostro destino.