Immagini dal Sannio: la Madonna d’i fucarell e i riti del fuoco dell’Immacolata

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L’8 dicembre la Chiesa cattolica ha celebrato la figura della Vergine Maria dell’Immacolata, festività ufficiale dall’anno 1854, quando un dogma proclamato nella Cappella Sistina da papa Pio IX, l’8 dicembre di quell’anno, con la sua bolla Ineffabilis Deus, riprese un’antica tradizione cristiana che risaliva a diversi secoli prima. Il Pontefice, durante il suo esilio a Gaeta dal 1849 al 1851, fece un voto in una cappella dedicata all’Immacolata secondo il quale, qualora avesse ricevuto la grazia del ritorno a Roma, si sarebbe impegnato nell’attuazione della proclamazione del gran dogma mariano. Egli sostenne di aver sentito tale esigenza come una chiamata interiore, che ricevette mentre era assorto in preghiera dinanzi all’immagine dell’Immacolata. Immacolata Concezione significa letteralmente concepimento senza macchia. Certamente il suo nome potrebbe trarre in inganni perché la ricorrenza non è legata alla verginità di Maria e al concepimento di Gesù Cristo grazie all’opera dello Spirito Santo, ma si concentra invece solo ed esclusivamente sulla figura femminile della Vergine, celebrando il fatto che Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Come si legge sulla bolla di Pio IX, “la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certa ed immutabile per tutti i fedeli”. L’Immacolata Concezione è dunque collegata al concepimento della stessa Maria da parte dei suoi genitori San Gioacchino e Sant’Anna.

San Bartolomeo in Galdo, la Madonna d’i fucarell, foto di copertina da sanbartolomeo.info

Si tratta di una delle ricorrenze più importanti dell’anno e apre il cammino dell’Avvento, ovvero delle quattro settimane che precedono il giorno di Natale, dando inizio a un periodo di riflessione e di gioia. La Madonna dell’Immacolata ha però anche una importantissima correlazione con il fuoco. In realtà, pur avendo l’aspetto di un rito pagano, il rituale dei fuochi è molto importante per la religione cattolica. L’Immacolata Concezione, infatti, è considerata la “Regina dei fuochi”. Il fuoco serve in qualche modo a purificare, a esorcizzare il vecchio, ciò che non è andato bene e a portare bagliore e splendore verso un cammino più prospero. Per i pagani, il fuoco potrebbe significare il voler a tutti i costi prolungare la luce del giorno, invece è un modo per fare un voto affinché si possano scongiurare cattivi raccolti e andare verso l’abbondanza delle messi. La tradizione, infatti, ha evocazioni maggiormente popolari e contadine. Già secoli e secoli fa, si bruciavano fascine dove ardevano paglia, legno di ulivo e anche mandorlo, quando nelle campagne, con la fine della bella stagione e l’arrivo dell’autunno, si preparava la natura per l’inverno, tagliando e potando in vista della stagione fredda. Per tradizione, erano gli uomini, accompagnati dai ragazzi più giovani, a raccogliere legna da ardere e fascine, per poter illuminare la notte del 7 dicembre, insieme a suonatori e danzatori, per dar vita a un’allegra e simbolica festa della vita. Tra l’altro, ai bambini veniva perdonato tutto, anche i piccoli furti, come quello che settimane prima portavano a termine per raccogliere di nascosto rami e stecchi per farne fascine. Una tradizione molto viva nel Centro-Sud, e particolarmente in molti borghi del Sannio e dell’Irpinia.

Ad esempio, a San Bartolomeo in Galdo la festa dell’Immacolata è molto sentita. Anche qui è viva l’antica tradizione di accendere i fuochi, in occasione della Madonna d’i fucarell, “Madonna dei fuocherelli”. Rituale che riguarda interi quartieri, ove comitati vari, nei giorni precedenti la festività, si organizzano per poter erigere la catasta di legna a forma piramidale che viene accesa durante la serata dell’8 dicembre. Anche in questo caso, il lavoro della preparazione della catasta e dell’accensione della pira è tipicamente maschile; le donne, infatti, sono impegnate nella preparazione delle pietanze legate alla terra contadina e pastorale, salsiccia, soffritto di maiale, dolci, ma anche polenta e ceci, il tutto accompagnato da ottimo vino locale. Al calar della sera viene dato fuoco alla catasta preparata con la massima cura, a cui segue un momento di preghiera condivisa, atta a significare l’elevato valore religioso dell’atto che si è compiuto. In quel momento, San Bartolomeo in Galdo si illumina a giorno, di luce naturale, quella calda e purificatrice del fuoco. In tempo più antichi, molte erano le persone che, nel tornare a casa, si procuravano dal rogo la brace per potersi riscaldare in casa. Ancora oggi, molti sono i falò che si organizzano nei vari quartieri, ove si festeggia, arrostisce, mangia, canta e balla fino a tarda notte. Come per i Sepolcri pasquali, le persone si spostano di fuoco in fuoco, per poter incontrare persone diverse, in allegria, sempre in compagnia. Nel frattempo, nessuna casa tiene le luci accese. Tutti escono e seppure qualcuno dovesse restare tra le quattro mura domestiche, il bagliore dei fuochi può bastar loro a illuminare la serata.

In Molise, invece, precisamente ad Agnone, all’avvicinarsi dell’8 dicembre, il cuore degli cittadini batte all’impazzata. L’appuntamento è quello della ‘Ndocciata, che ogni anno si ripete nel giorno che rievoca l’Immacolata Concezione, e che si ripete la sera della Vigilia di Natale. In centinaia, con i costumi tradizionali agnonesi, portano le ‘ndocce accese lungo il corso del paese che improvvisamente diventa un fiume rosso di fuoco, che genera emozioni nei residenti ma anche nei visitatori che vi accorrono con curiosità e devozione. La sfilata comincia all’imbrunire del cielo, appena la campana di Sant’Antonio rintocca le 18. All’apertura del corteo, troviamo in parata gli stendardi cittadini e vari figuranti e zampognari animano scene di vita contadina. E poi, arriva lui, il protagonista assoluto della giornata, il fuoco: prima le ‘ndocce più piccole portate dai bambini, poi quelle grandi e infine i maestosi ventagli infuocati, sulle spalle di uno o due uomini. Quando il corteo si ferma, i residui delle ‘ndocce ardono fino alla fine in un gigantesco falò detto della “fratellanza”, in cui simbolicamente brucia tutto quanto c’è stato di negativo durante l’anno che volge al termine, oltre a dare una mano d’aiuto al nuovo sole affinché porti luce e calore. Durante la giornata, quando le 18 sono ancora lontane, si può assistere alla realizzazione delle caratteristiche ‘ndocce, sotto un invitante e allettante profumo di baccalà arrosto, oppure indorato e fritto, o anche preparato con aglio, olio, prezzemolo e mollica di pane, specialità tipiche di Agnone, oltre ai prodotti caseari. La ‘Ndocciata nel 2011 venne riconosciuta Patrimonio d’Italia per la tradizione dal Ministero del Turismo; l’evento richiama ogni anno migliaia di turisti provenienti da tutte le regioni, specialmente da quando l’8 dicembre 1996 fu protagonista di un’invasione di fuoco in Piazza San Pietro, sotto lo sguardo affascinato di papa Giovanni Paolo II.

La ‘ndocciata di Agnone, foto dal web

A Oratino, in provincia di Campobasso, il fuoco viene enfatizzato grazie alla Faglia. Il temine faglia ha inequivocabilmente il significato di fallo e le derivazioni possibili sono Phavos, in greco falò; fax-facis, in latino fiaccola; facula-faculae: piccola fiaccola, che, pur avendo tutte la stessa radice, non danno una sufficiente interpretazione del termine. Molto probabile, dunque, che si tratti di una contaminatio linguistica avvenuta nell’idioma volgare, nel corso dei secoli, tra il termine phalos, in greco fallo, e quello latino palea, paglia. Le canne necessarie alla realizzazione della faglia vengono raccolte nei giorni che precedono la festa, che in questo caso si tiene il 24 dicembre, da squadre che le puliscono e le selezionano secondo lo spessore e la lunghezza. I giovani sono i protagonisti della costruzione della grande faglia, della raccolta e della essiccatura delle canne. A loro è permesso rubare le canne anche di notte, nonché il materiale necessario al gigantesco manufatto, ma soltanto nelle campagne limitrofe o nei vigneti dei paesi vicini. Questo dà la possibilità di spingere i giovani a fare le prime esperienze a mo’ di iniziazione. Occorrono almeno quaranta volontari nel trasporto della faglia: il peso è tanto, si tratta di circa 60 chilogrammi da sostenere in un lungo percorso che porta alla Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo. Un percorso non facile, a causa delle salite e delle numerose curve che si incontrano. Nel percorso, il capofaglia, oltre a scandire il tempo e la marcia dei portatori, grida “Evviva le canne di…”, inneggiando alla generosità di coloro che hanno fornito la materia prima per la realizzazione della faglia stessa. Una volta giunti sul sagrato della chiesa, la faglia viene innalzata con l’aiuto di un argano e da una corda d’acciaio. Dopo la benedizione del parroco, dal campanile, una barra, con in punta uno straccio imbevuto di combustibile, si avvicina alla sommità della faglia, depositando la fiamma con cura, così da dare inizio al rito del Natale.