In Valle Caudina, ai piedi del monte Taburno, si riconosce a occhio nudo la città di Montesarchio, dominata anche da una collina, il colle Ciaurno, all’interno del Parco Regionale del Taburno – Camposauro. La collina è denominata anche Torre, per la presenza della torre imponente che si lascia ammirare nella sua intera bellezza. Il castello caudino è un monumento molto importante, ricco di storia, edificato per fini militari e di ordine pubblico, una delle fortificazioni più importanti della zona fino all’Alto Medioevo. Il castello fu realizzato in epoca normanna e fu documentato per la prima volta nello statuto di Federico II del 1241-1246. Durante il Regno Borbonico, il maniero fu utilizzato per imprigionare i numerosi dissidenti politici in passato presenti nel territorio. Ancora oggi, sono in esso visibili aree adibite a cortili per i carcerati, ma anche delle iscrizioni fatte proprio da alcuni patrioti nelle celle interne che li ospitavano. Oggi, sono ancora evidenti gli incassi del ponte levatoio e del fossato che lo proteggeva. Le funzioni di prigione del castello sono state mantenute fino alla Seconda guerra mondiale, quando venne adibito a carcere sanatorio militare, mentre a metà del secolo scorso la sua struttura divenne la sede di un orfanotrofio.
All’interno della imponente Torre caudina, è allestito il Museo archeologico caudino, dedicato alla importante e rilevante storia della Valle Caudina, contenente notevoli testimonianze archeologiche dei centri più importanti, quali Caudium, la stessa Montesarchio, Saticula, odierna Sant’Agata de’ Goti, Telesia attuale territorio di San Salvatore Telesino, alle origini di Telese. Grande rilevanza hanno i reperti provenienti dalla aree sepolcrali di Caudium: trattasi di corredi completi di tombe con elementi in bronzo, contenitori in ceramica nera, datati tra il VIII ed il III secolo a.C. che riportano agli antichi fasti della città, che all’epoca dei fatti svogleva una importantissima funzione economica e commerciale. Tra questi reperti, numerosi sono i crateri, vasi in terracotta dipinti nei modi più disparati. Si possono osservare ricostruzioni dei diversi tipi di inumazione, ma anche una tomba, bellissima nella sua rarità, con blocchi di pietre di tufo, risalente all’età preistorica. Ricostruito anche un villaggio preistorico, con la presenza di diversi utensili e attrezzi inerenti alla vita quotidiana che sono stati rinvenuti nelle aree limitrofe. Particolari sono le ceramiche di produzione corinzia e greca e i vasi in bucchero importati dall’Etruria o dalla più vicina Capua. Il Museo conserva anche materiale delle ricche necropoli delle sopra citate Saticula e Telesia.
Il reperto più importante e noto, che il Museo ospita, considerato un vero e proprio gioiello ceramico, è il Cratere di Assteas. Assteas era un ceramografo e ceramista pestano, uno dei più grandi e importanti decoratori ceramografici della zona, che operava nel IV secolo a.C.. Il cratere in oggetto proviene dalla Magna Grecia, fra il Mar Tirreno e il Sele, precisamente da Posidonia – Paestum, che oggi si trova nella Torre di Montesarchio, antica Caudium, sede del Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino, che ospita reperti provenienti da tutto il territorio degli antichi Sanniti Caudini, è stato firmato dall’artista sopra citato, oltre al fatto che tale nome si trova anche accanto a una delle figure. “Lo ha dipinto Assteas”, cita l’epigrafe. Il cratere ospite del Museo caudino è certamente uno dei crateri più grandi mai rinvenuti, alto 72 cm e largo 60 cm, conservato perfettamente integro, nonostante la sua lunghissima storia. Infatti, molti trafficanti hanno cercato di mercificare con esso, è stato conteso da molti appassionati e ha girato davvero buona parte di mondo. Ma una cosa è certa: si tratta di un capolavoro. Rappresenta le origini della civiltà minoica, la civiltà più antica della Grecia, e narra del ratto d’Europa, da un lato, mentre sul retro rappresenta la scena mitologica di Dioniso, dio del vino, seguito da un breve corteo formato da menadi, un sileno e il dio Pan.
Il cratere – gioiello fu ritrovato a Sant’Agata de’ Goti nei primi anni Settanta, da parte di un operaio edile, un certo Cacciapuoti, durante i lavori di scavo per la rete fognaria. Si trovava in una tomba e faceva parte del suo corredo funerario. Quest’uomo raccolse il cratere e lo portò in casa propria, si fece fare alcuni autoscatti con la sua Polaroid a colori e lo vendette sul mercato nero per 1 milione di lire e un maialino. Ovviamente, il cratere, dopo tale avvenimento, cominciò a seguire la filiera di un’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di reperti storici, e fu depositato in Svizzera in attesa di un acquirente, finché fu venduto al Getty Museum di Malibu, in California, per 380 mila dollari, che lo tenne in esposizione dal 1981 al 2005. Grazie a uno degli scatti fatti dalla Polaroid dell’operaio, i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, al termine di lunghe e complesse indagini, sotto la guida del luogotenente Lai, riuscirono a dimostrare la reale provenienza del cratere, coinvolgendo gli Uffici del MiBAC, e convinsero la Magistratura a ottenere la restituzione del cratere dipinto a figure rosse. A partire dal 2007 il vaso è stato esposto in diverse città europee: da Roma a Montesarchio, passando per Napoli, Paestum, Parigi, Sant’Agata de’ Goti, Milano. La storia del cratere è stata narrata in diversi articoli giornalistici e nel romanzo Il ratto di Europa – Storia del vaso di Assteas di Aniello Troiano, oltre che nel documentario di Michele Porcaro ASSTEAS – Storia del vaso più bello del mondo, a cui ha collaborato il critico d’arte Vittorio Sgarbi.
Giornalista