Immagini dal Sannio: il Calendimaggio e gli antichi rituali sanniti

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Foto di copertina, rappresentazione dei Floralia

Era la festa della primavera e della rinascita della natura e dello spirito. I tempi antichi celebravano il Calendimaggio, dal latino Kalendis maii, speciali festeggiamenti del calendario romano in cui si onorava la dea Flora, colei che era la responsabile della fioritura della natura. Tra il 28 aprile e il 3 maggio a Roma si svolgevano i Floralia; il primo maggio, i Celti accendevano dei grandi falò, chiamati fuochi di Beltane, in una notte importantissima che astronomicamente si contrapponeva a quella in cui si celebravano i morti, il primo novembre. Vita contro morte, dunque, rinnovamento dello spirito e della natura contro la caducità. Una festa che aveva origini pagane e che era dedicata all’esplosione della natura. I primi giorni di maggio veniva sospesa ogni attività lavorativa e si dava inizio a sfilate e cortei per le vie delle grandi città, come Roma ma anche Firenze, dove il culto era molto sentito. Feste che culminavano con canti spensierati, balli, passeggiate e banchetti. E ancora, gruppi di giovani accompagnati da orchestranti e teatranti mettevano in atto cantiche e recite che dedicavano alle fanciulle cinte di rose, fiori e ghirlande, ginestre e giaggioli, che accettavano di buon grado ogni sorta di corteggiamento. Durante le feste del Calendimaggio, non pochi erano i giovani che appendevano alla finestra delle donne amate un ramoscello fiorito e infiocchettato per dimostrar loro il proprio amore. Veniva, tra l’altro, in alcune zone, eletta la “Regina del Maggio”, incoronata da fiori la quale, cantando versi augurali, si dirigeva verso le fanciulle fidanzate consegnando loro piccoli doni. Uomini e donna abbigliati a festa, con sopravveste e cappucci, corpetti di stoffa pesante e una accurata eleganza. Fu durante le giornate del Calendimaggio che Dante incontrò Beatrice nel 1274, mentre nel 1300 vi fu il nefasto evento in cui i giovani dei Cerchi e dei Donati vennero a contesa dando inizio ai tragici scontri fra Guelfi Bianchi e Neri che tanto sangue fecero scorrere per le strade fiorentine. Durante il Rinascimentale, Lorenzo il Magnifico e i Medici partecipavano alle feste scrivendo laudi e poesie. Finché, nei secoli successivi, il Calendimaggio perse l’importanza assunta fino ad allora, anche se vennero mantenuti alcuni riti popolari tipici della festa. Dalla fine dell’Ottocento, con l’istituzione mondiale della Festa dei Lavoratori, il Calendimaggio è stato quasi definitivamente accantonato ma non dimenticato.

I riti del Calendimaggio erano vivi in buona parte d’Italia, così come nel Sannio. Era considerata la festa dei riti propiziatori, specie in territori dal tipico stampo rurale come il beneventano o quello molisano, durante la quale veniva sempre effettuata una questua dove, in cambio di doni perlopiù gastronomici, come uova, carne, dolci, salumi, vino, i maggianti cantavano strofe benauguranti agli abitanti delle case che visitavano. I personaggi che accompagnavano i maggianti rappresentavano il simbolo della rinascita primaverile, interpretando alberi come l’ontano, che cresce lungo i corsi d’acqua e che per questo motivo è considerato simbolo della vita, chiamati proprio “alberi del maggio”. Tra l’altro, veniva eletto un particolare albero della festa e attorno a esso si svolgevano tutti i tradizionali balli e a volte anche rappresentazi0ni teatrali. Oltre alle personificazioni di alberi, vi erano anche travestimenti di fiori, come viole, rose e tutte le policromie primaverili, che tra l’altro venivano citate nelle strofe dei canti e con i quali gli attori che li personificavano si adornavano. In alcune località del Sannio più legate al culto di San Michele, essa veniva e tutt’oggi viene festeggiata l’8 maggio, giorno dell’apparizione del Santo nel santuario di Monte San Michele sul Gargano. In alcune zone del Molise si festeggiava la festa Cuetramajje. Una prima testimonianza ci viene da Giuseppe Cremonese nel Vocabolario del dialetto agnonese, quando cita il termine Cuetramaje dando la spiegazione di “festa popolare contadina del primo maggio, propria di questa contrada”. Sembra che di buon mattino, alcuni contadini suonassero tamburelli e cantassero a festa seguendo un’allegra e spensierata comitiva. Uno di loro portava sollevato un albero, simbolo di vita, da cui scendevano appesi diversi cibi come dolci, salumi, la lessata, mentre altri trasportavano vino, cestini con uova e ogni sorta di ben di Dio. Un’allegra brigata che fino a tarda sera si esibiva lungo le vie e i vicoli del paese e che, fermandosi agli usci delle case, chiedeva offerte affinché il canto potesse proseguire. La questua, dunque.

Tra le manifestazioni popolari dedicate all’avvento del Maggio, si ricorda anche la festa del Majo di San Giovanni Lipioni che, fino a qualche anno fa, aveva come principale intento quello di rinnovare la promessa dell’amicizia fra la gente del borgo, con un patto di reciproca solidarietà. Un rito da collegarsi, probabilmente, anche a quello del Ver Sacrum dei popoli italici e dunque anche dei Sanniti. In occasione del Majo veniva preparata una ghirlanda di fiori formata di mazzetti di ogni specie e sorretta da un “majo” fatto di fasci di canne. Al termine della funzione religiosa, a ogni famiglia si faceva dono di un mazzetto di fiori benedetti, recitando uno stornello. Anche i giovani ricevevano doni, come uova e vino, quale promessa di futuro vincolo maritale, distribuiti, insieme ai fiori, fino a tarda notte, o addirittura fino all’alba del nuovo giorno.

La Pagliara Maje Maje di Fossalto

A Fossalto, in provincia di Campobasso, invece, c’è il festeggiamento della Pagliara Maje Maje, cono ricoperto di fiori, fave ed erba, che ogni anno, nella prima giornata del mese di maggio, parte e attraversa le strade del paese in segno propiziatorio. Una sfilata storica e molto sentita, accompagnata non solo dalle donne del paese, che da balconi e finestre gettano acqua sulla Pagliara, ma anche bambini vestiti con abiti tradizionali, turisti e il suono della “Scupina”. Si tratta di un rituale di inizio di primavera, di quelli che un tempo avevano un valore essenziale per l’economia e l’identità di gruppo. Gettare l’acqua sul carro di erbe e di fiori rappresenta un gesto di magia, fatto in maniera simpatica, al fine di invocare la pioggia, quando l’economia era prevalente rurale e si cercava di propiziare la morbidezza e la floridezza del terreno ma può anche essere visto come un gesto di rinnovamento della natura. Il cono sta a personificare il maggio e sulla sua sommità è posta una croce, anch’essa ottenuta con fiori. La Pagliara viene indossata da un uomo in modo da coprire tutto il corpo lasciando una piccola apertura per il viso e gira per tutto il paese annunciando l’arrivo del maggio, con l’accompagnamento musicale di una zampogna. mentre i getti di acqua si riversano, dai balconi e dalle porte di case si alzano le grida “rascia, Maje!” (abbondanza, maggio!). Alla fine del giro, la Pagliara viene collocata in piazza, davanti alla casa del parroco, la croce viene staccata dalla sommità e consegnata al sindaco, mentre il cono viene deposto nell’orto del prete. Subito dopo si distribuisce a tutti i presenti la Lessima, una tradizionale zuppa di legumi, cereali, formaggio, pane e fave fresche. È un rito antico che si perde nei secoli, una manifestazione singolare e unica in tutto il Molise. Una festa per tutti, molto sentita dalla popolazione e svolta di anno in anno con grande serietà e determinazione.