Quella del 22 maggio 1978 è una data storica per l’Italia, un altro passo avanti per la democrazia: il progetto di legge proposto dai partiti di sinistra, liberal-capitalisti e radicale venne approvato e diventò legge, la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, che permette alle donne di abortire in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni di gestazione, oppure fino al quinto mese di gravidanza qualora la stessa comporti rischi di salute per la donna. Fino ad allora erano state numerose le denunce sulla diffusione della pratica dell’aborto clandestino, per questo a gran voce si richiedeva una legge che regolamentasse l’interruzione volontaria della gravidanza, eliminandola dal codice penale in quanto reato. Prima di quell’anno tante donne si erano ritrovate a doversi sottoporre a un aborto clandestino: chi poteva permetterselo, economicamente parlando, andava all’estero, ma per tutte le altre c’erano le mammane, pratiche con il prezzemolo o i ferri per fare la maglia. Queste strade, la maggior parte delle volte, portavano rischi per la salute, anche perché, tra l’altro, ci si rivolgeva a perfetti sconosciuti che non davano alcuna garanzia sanitaria e igienica. Era considerato reato penale causare l’aborto di una donna non consenziente (o consenziente, ma minore di quattordici anni) e anche procurarsi l’aborto.
Già il 5 febbraio 1975 una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore de L’espresso, presentò alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli del codice penale, riguardanti i reati d’aborto su donne consenzienti, istigazione all’aborto, atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Dopo aver raccolto oltre 700 mila firme, il 15 aprile del 1976 con un Decreto del Presidente della Repubblica, venne fissato il giorno per la consultazione referendaria, ma lo stesso Presidente Leone, il primo maggio, fu costretto a ricorrere per la seconda volta allo scioglimento delle Camere. La legge 194 prevede anche l’obiezione di coscienza da parte dei professionisti. Lo status di obiettore non esonera il professionista sanitario dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento, ma comunque il professionista non può invocare l’obiezione di coscienza qualora l’intervento sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
Giornalista