Accadde oggi: 26 settembre 1687, il bombardamento del Partenone di Atene

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Maestoso, simbolo di un’arte eterna, di una storia che non passa mai di moda, millenaria, leggendaria. Svettante al cielo, con le sue solenni proporzioni e le sue colossali colonne nel punto più centrale dell’Acropoli, il Partenone di Atene fu eretto sotto Pericle per custodire il tesoro sacro della città e la preziosa statua di Athena. Un tempio simbolo di armonia e perfezione di linee e movimenti, la bandiera ferma, il sigillo identitario della Grecia classica. Le superfici si presentavano in origine coperte di colori vivaci e ornate di sculture e rilievi, tra cui le 92 metope della trabeazione, di cui se ne salvarono 58, 42 in loco. Spettacolari dovevano essere i due frontoni, con statue a tutto tondo in marmo, attribuite al grande Fidia e alla sua scuola. Qui era una delle opere più incredibili di Fidia: il fregio di circa 160 metri che correva all’esterno sulla trabeazione della cella, che rappresentava una processione in onore di Athena con 400 personaggi e 200 animali, quei marmi che lord Elgin spostò al British Museum di Londra. Al centro del náos, la cella, troneggiava la veneratissima statua della dea a firma di Fidia, alta ben 12 metri che, portata a Costantinopoli, andò in seguito distrutta.

Rimase intatto per circa diciassette secoli, inizialmente come chiesa cristiana, poi moschea turca e infine deposito di polveri, finché non saltò in aria la sera del 26 settembre 1687 a causa di una cannonata sparata dall’artiglieria veneziana. Quel giorno i veneziani demolirono quello che oggi è uno dei luoghi più visitati al mondo, ammirato ogni anno da migliaia di turisti, monumento che domina dall’alto dell’Acropoli su una città ormai profondamente modernizzata. “L’abbiamo fatta grossa! Non si può distruggere la più bella antichità del mondo in una Atene ornata di antiche vestigia di celebri ed erudite memorie”, furono le parole di Francesco Morosini che, il giorno dopo l’esplosione, continuava a non darsi pace. Cercava di giustificarsi dicendo di aver colpito il Tempio di Minerva, o Atena, per sbaglio, ma non fu un errore, perché lo splendido Partenone fu fu preso di mira volutamente. Un solo colpo per sbriciolare un’eterna opera d’arte e si sa, purtroppo, che statue, fregi, monumenti, simboli d’arte non sempre sono eterni. Una notizia più che scioccante che fece rabbrividire l’intera Europa. Non era un monumento anonimo preso a caso, ma un punto fermo del patrimonio culturale mondiale.

Ecco cosa avvenne. Venezia era ancora una grande potenza sul mare e sulla terraferma. Francesco Morosini, dopo aver occupato l’attuale Peloponneso, divenne il 108° doge della Repubblica di Venezia, e sbarcò al Pireo, assediando la rocca dell’Acropoli di Atene che, all’epoca, era un villaggio di cinquemila abitanti. I turchi ottomani erano i padroni della Grecia e si rinchiusero nel tempio con le famiglie, generi alimentari, armi e polvere da sparo. Si nascosero tutti lì perché il monumento era talmente bello, solido, storico che si immaginava che nessun nemico avrebbe danneggiato un monumento così antico e leggendario. Tra la Repubblica di Venezia e l’Impero ottomano, da tempo, i rapporti erano di amore e odio. Un colpo di una bombarda da 500 libbre centrò in pieno il deposito della polvere da sparo distruggendo gran parte dello storico e leggendario edificio dell’antichità classica, uccidendo 300 persone e provocando un vasto incendio che durò alcuni giorni. Franarono tre muri e molte sculture e fregi andarono in pezzi, crollarono ventotto colonne e i locali interni adibiti a chiesa e poi a moschea furono devastati. I frammenti del tempio vennero proiettati a centinaia di metri di distanza. Atene diventò una città veneziana, per poco forse, ma il danno arrecato fu devastante, di proporzioni immani, uno dei più grandi scempi della storia dell’umanità, uno dei più brutali attacchi al patrimonio culturale mondiale.