Oggi la Chiesa Cattolica ricorda e festeggia San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, il Santo poverello che nacque ad Assisi nel 1182, da una famiglia della nascente borghesia. In assenza del padre, in Francia per motivi di lavoro, alla nascita la madre lo chiamò Giovanni. Solo in un secondo momento, dato l’affetto che il padre nutriva nei confronti della Francia, egli lo chiamò e battezzò Francesco, in segno di gratitudine alla Francia, e in onore della via Francesca, quella che dal centro umbro il mercante percorreva per arrivare proprio in terra francese. Dopo una vita giovanile spensierata e mondana, ispirata all’ideale cavalleresco, Francesco si convertì al Vangelo, che visse con radicalità – “sine glossa” – in povertà e letizia, seguendo il Cristo povero, umile e casto, secondo lo spirito delle beatitudini. Insieme ai primi fratelli che lo seguirono sulle tracce di Cristo, attratti dalla forza del suo esempio, predicò il Vangelo di Gesù nella radicalità delle sue esigenze, contribuendo al rinnovamento della Chiesa, fortemente bisognosa in quel tempo di testimoni che le indicassero le vie del Signore.
Il Poverello fu il primo cristiano nella storia della chiesa a essere segnato dalle impronte della passione del Signore nel suo corpo. Quelle stimmate che gli restarono impresse fino alla morte, avvenuta la sera del 3 ottobre 1226 a Santa Maria degli Angeli. Una vita vissuta nell’umiltà, o meglio nel voler diventare umile e simile a Cristo per la sua radicale scelta di vita evangelica, tanto da diventare anche anche fisicamente il riflesso vivente di Cristo.
Si racconta che due anni prima di morire San Francesco si trovasse alla Verna, un monte selvaggio, un “crudo sasso” come fu descritto da Dante Alighieri, un monte che s’innalza verso il cielo, nella valle del Casentino. Era andato lì perché gravi tensioni si erano accese nell’Ordine, così il Santo desiderò allontanarsi, in ritiro spirituale. Vi giunse per per vivere in solitudine quaranta giorni di digiuno e preghiera in preparazione alla festa dell’Arcangelo Michele di cui era fortemente devoto. Francesco era particolarmente legato a questo luogo, ne era molto affascinato e qui trovava la forza e l’ispirazione giusta per meditare la Passione del Signore e innalzare l’intensa preghiera: “O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch’io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amoredel quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori” (da I Fioretti). Da questo luogo di esperienze mistiche dovette scendere, perché gravemente malato: gli era quasi scomparsa la vista ed era estenuato da ripetute emottisi. Nel Testamento e nel Cantico delle creature, che Francesco compose in un eremitaggio che si era fatto apprestare presso il convento di San Damiano, confortato e sostenuto dalla preghiera di Chiara e delle sue compagne, esprimeva il suo amore a Madonna povertà e il legame d’amore che univa tutte le creature tra loro e con l’uomo, quasi un abbraccio cosmico per dare gloria a Dio. Morì all’età di 44 anni.
Giornalista