Toponomastica di Telese, ecco chi era la combattente Luisa Sanfelice

Condividi articolo

Nel 1999, come rappresentante di una forza politica di minoranza, feci parte di una commissione comunale che doveva “nominare” molte nuove strade della cittadina a seguito dell’espansione delle periferie che avevano visto il nascere di nuovi quartieri raggiunti da strade di nuova costruzione, spesso ancora da sistemare e soprattutto anonime. Nel 1999 ricorrevano i 200 anni dalla Rivoluzione Napoletana del 1799, così proposi d’intitolare qualche nuova strada a dei protagonisti di tale avvenimento. La scelta cadde su una delle figure più emblematiche e sicuramente più suggestive, Luisa San Felice o Sanfelice.

Luisa Fortunata de Molina, era figlia di un generale borbonico di origine spagnola, Sanfelice era il cognome del marito, suo cugino, che sposò giovanissima a soli diciassette anni. Andrea Sanfelice, giovane senza mezzi e titoli, condusse con Luisa a Napoli una vita scandalosa che lo portò a contrarre numerosi debiti di gioco, tanto che la Corte provvide a separare i due giovani coniugi, trasferendo Andrea in monastero a Nocera e Luisa in un conservatorio a Montecorvino Rovella. Tornati a Napoli, furono riammessi a Corte ma, dopo l’invasione francese del 1799 e la costituzione della Repubblica Partenopea, Luisa, a seguito di varie vicende che la videro coinvolta, finì condannata a morte, accusata di aver tramato contro la Corte; in realtà a fare di Luisa un’eroina antimonarchica fu la scrittrice, giornalista Eleonora Pimentel Fonseca pubblicando nel suo giornale “Monitore Napoletano” un elogio della Sanfelice.

Il re Ferdinando, tornato a Napoli dopo la fuga a Palermo e ripreso il trono, non le perdonò di aver collaborato coi repubblicani e la fece condannare a morte. A volere la morte di Luisa fu soprattutto la regina Maria Carolina sorella di Maria Antonietta, regina di Francia che, dopo la decapitazione della sorella avvenuta nel 1793 a Parigi a opera dei rivoluzionari, viveva nel terrore di fare la stessa fine per mano dei “giacobini”. L’esecuzione della sentenza fu rimandata più volte, perché la Sanfelice si dichiarò incinta. Le donne incinte non potevano essere ammazzate, per quanto, nonostante fosse stato attestato da ben due medici, la gravidanza della Sanfelice sembra essere stata più frutto di finzione che di realtà. Era tradizione che se nasceva un bambino nella famiglia reale la puerpera poteva presentare il bambino al re e chiedere una grazia. Fu così che la principessa Maria Clementina, moglie del principe ereditario Francesco, amica di Luisa, avendo partorito un maschio, richiese la grazia per la Sanfelice ma non la ottenne; si racconta che il re, talmente infastidito dalla richiesta, prese il bambino e lo scaraventò nella culla sobillato dalla stessa moglie Maria Carolina.

L’11 settembre 1800 a Piazza Mercato, Luisa andò al patibolo. Quando salì sul palco, tutto il pubblico rabbrividì perché era una donna bellissima; il condannato, per tradizione, non doveva guardare negli occhi il boia ma Luisa si voltò mentre il boia la colpiva e lo guardò negli occhi. Il boia fu talmente turbato da quello sguardo pietoso e dolce che sbagliò il colpo e si racconta che per ammazzarla ci vollero cinque colpi d’ascia. Lo scrittore francese Alexandre Dumas riprese la storia di Luisa in un suo romanzo dal titolo “La Sanfelice”, composto durante un celebre soggiorno a Napoli, giunto al seguito di Giuseppe Garibaldi.

Il vascello inglese “Vanguard”, sul quale l’ammiraglio Nelson condusse i sovrani che fuggivano dalla rivoluzione di Napoli a Palermo, nella traversata fu scortato dal vascello il “Sannita”, un vascello della Real Marina del Regno delle Due Sicilie, varato dal cantiere navale di Castellammare di Stabia nel 1792, al comando del brigadiere Francesco Caracciolo. Per il mare burrascoso e per la scarsezza dell’equipaggio, il vascello subì dei danni durante la traversata che all’arrivo da Palermo venne mandato a Messina e qui disarmato.









Print Friendly, PDF & Email