Accadde oggi: 11 gennaio 1999, la dolorosa scomparsa di Fabrizio De André

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Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente.
Dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fiori”.

Via del campo, la Canzone di Marinella, Inverno, Dolcenera, Volta la carta, La ballata dell’amore cieco, La guerra di Piero, Creuza de ma, Amore che vieni amore che vai, Il testamento di Tito, Don Raffaè, Bocca di rosa, Geordie, Girotondo. Sono solo alcune delle poesie messe in musica da Faber, come tutti noi amiamo chiamarlo, soprannome internazionale che fu dato a Fabrizio De André da Paolo Villaggio, suo vecchio amico d’infanzia e autore di alcuni dei suoi brani, come Carlo Martello. Il genovese Fabrizio nacque il 18 febbraio 1940, e in quasi quarant’anni di attività artistica ha lanciato tredici album in studio. È stato un vero e proprio innovatore della musica leggera italiana, diventando uno degli esponenti di spicco della cosiddetta Scuola Genovese. Amava raccontare, scrivere storie in musica, racconti di emarginati, ribelli, prostitute, poveri diavoli e gente che “viaggia in direzione ostinata e contraria”. Un vero e proprio cantastorie, un poeta in musica, i suoi testi li troviamo nelle antologie scolastiche, il tutto intonato da una voce straordinariamente profonda. De André amava raccontare, inventare ma anche rielaborare i materiali: lo ha fatto con le canzoni di Brassens (Il gorilla) o l’Antologia di Spoon River, l’opera di Edgar Lee Master da cui ha tratto “Non al denaro non all’amore né al cielo”, album del 1971 inserito tra i capolavori assoluti della musica italiana.

Chi nella vita privata e nella carriera gli è stato vicino, ha avuto grandi intuizioni e ha da subito saputo fin dove De André potesse arrivare. Uno fra tutti, Mauro Pagani che nel 1984, in anticipo sui tempi, lo portò nei territori della World Music, in un viaggio attraverso le musiche del Mediterraneo generando Creuza de ma, un album cantato in genovese ma dal battito internazionale, in cui ha mescolato generi diversi attingendo alla tradizione folk della sua terra. Figlio di genitori della borghesia agiata ma legati a una famiglia di solido patrimonio, De André è stato uno studente pigro fermatosi a due esami dalla laurea in legge e ha avuto tra i suoi amici di sempre Paolo Villaggio, Luigi Tenco, Gino Paoli. L’11 gennaio 1999, alle 2:30, nel cuore della notte, si spense all’Istituto dei Tumori di Milano, assistito dalla moglie Dori Ghezzi e dalla figlia Luvi. Renzo Arbore, alla notizia della sua morte, lo definì “uno spartiacque fondamentale nella musica italiana, il primo a coniugare felicemente la semplicità della musica popolare con la raffinatezza dei testi”. De André riuscì a rivolgersi senza mezzi termini e senza mediazioni a un pubblico in grado di apprezzarlo, soprattutto in virtù della costante semplicità delle melodie, come nel caso della Storia di Marinella, tutto basato su due soli accordi. Sono passati ventiquattro anni dalla scomparsa di Faber, ma la sua opera e il suo pensiero rimangono intatti nella sfida del tempo rinnovandosi nel passaggio tra le generazioni, come succede solo ai grandi autori, ai grandi poeti, ai grandi.