La sopravvivenza dei cibi di strada e delle tradizioni culinarie napoletane

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Il cuoppo napoletano

“Tutto cambi perché nulla cambi”.

Nel 1884, Matilde Serao pubblicò il romanzo “Il ventre di Napoli”:
La Serao descrive il “ventre”, ossia i quartieri straripanti di poveri e disadattati che non sanno come tirare avanti, preda del degrado urbano e delle malattie. La scrittrice si sofferma sulla grande capacità dei napoletani di sopravvivenza, nonostante le condizioni avverse.

Nel capitolo III, “Quello che mangiano”, Serao descrive i piatti popolari, i cibi tradizionali che trovavano e trovano, ancora oggi, largo consumo presso i napoletani:
“… La pizza rientra nella larga categoria dei commestibili che costano un soldo, e di cui è formata la colazione o il pranzo, di moltissima parte del popolo napoletano.”
“Un giorno, un industriale napoletano ebbe un’idea. Sapendo che la pizza è una delle adorazioni cucinarie napoletane , … , pensò di aprire una pizzeria in Roma… Sulle prime la folla vi accorse, poi andò scemando. La pizza, tolta al suo ambiente napoletano, pareva una stonatura e rappresentava una indigestione; il suo astro impallidì e tramontò, in Roma; pianta esotica, morì in questa solennità romana.”


In questi giorni di festa le strade del centro storico sono stracolme di turisti in cerca del cibo classico da consumare come si apprestassero ad un’esperienza unica e sublime. I vicoli classici sono invasi da tavolini e nuove friggitorie nascono ogni dove.
“Il pizzaiuolo che ha bottega, nella notte, fa un gran numero di queste schiacciate rotonde, di una pasta densa, che si brucia, ma non si cuoce, cariche di pomidoro quasi crudo, di aglio, di pepe, di origano: queste pizze in tanti settori da un soldo, sono affidate a un garzone, che le va a vendere in qualche angolo di strada, sovra un banchetto ambulante…”
Tutti in fila “Dal friggitore” dove “si ha un cartoccetto di pesciolini che si chiamano fragaglia e che sono il fondo del paniere dei pescivendoli: dallo stesso friggitore si hanno per un soldo, quattro o cinque panzarotti, vale a dire delle frittelline in cui vi è un pezzetto di carciofo, quando niuno vuol più saperne di carciofi, o un torsolino di cavolo, o un frammentino di alici.”
E ancora, “Dall’oste, per un soldo, si può comperare una porzione di scapece; la scapece è fatta di zucchetti o melanzane fritte nell’olio e poi condite con aceto, pepe, origano, formaggio, pomidoro, ed è esposta in istrada, in un grande vaso profondo, in cui sta intasata, come una conserva e da cui si taglia con un cucchiaio.”

“Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta; con due soldi di maruzze, si hanno le lumache, il brodo e anche un biscotto intriso nel brodo: per due soldi l’oste, da una grande padella dove friggono confusamente ritagli di grasso di maiale e pezzi di coratella, cipolline, e frammenti di seppia, cava una grossa cucchiaiata di questa miscela e la depone sul pane del compratore, badando bene a che l’unto caldo e bruno non coli per terra, che vada tutto sulla mollica, perchè il compratore ci tiene.”

“La gente agiata, quella che può disporre di otto soldi al giorno, mangia dei grandi piatti di minestra verde, indivia, foglie di cavolo, cicoria, o tutte queste erbe insieme, la cosidetta minestra maritata; o una minestra, quando ne è tempo, di zucca gialla con molto pepe; o una minestra di fagiolini verdi, conditi col pomidoro; o una minestra di patate cotte nel pomidoro.”
“Ha anche qualche altra golosità, il popolo napoletano: lo spassatiempo, vale a dire i semi di mellone o di popone, le fave e i ceci cotti nel forno; con un soldo si rosicchia mezza giornata, la lingua punge e lo stomaco si gonfia, come se avesse mangiato.”


“La massima golosità è il soffritto: dei ritagli di carne di maiale cotti con olio, pomidoro, peperone rosso, condensati, che formano una catasta rossa, bellissima all’occhio, da cui si tagliano delle fette: costano cinque soldi. In bocca, sembra dinamite.”
Passeggiare per il centro storico, in quelli che furono i cardi e i decumani della città prima greca e poi latina, è ancora oggi un calarsi nel “Ventre di Napoli”, nella parte più profonda dove, a guardare bene e a soffermarsi sugli aspetti sociali, etnici, economici, antropologici, sanitari e (perché no) anche psichici, “tutto è cambiato perché nullo sia cambiato”.