La sua casetta sorgeva lì, su una collina appartata di un villaggio angusto e semi abbandonato. Un umile rifugio in legno, malconcio, umido, con le pareti scrostate, e qua e là odore di muffa. Il camino, per fortuna, era l’unico elemento a dar luce e calore a quella cascina buia e solitaria, un po’ sinistra e per nulla accogliente. Il fuoco sempre acceso produceva enorme quantità di carbone, che lei accumulava ossessivamente, come fosse una massa di lingotti d’oro.
La donna che la abitava era giovane e bella. Indossava sempre un abito nero con i contrasti viola, calze a rete e un rossetto lucido come una ciliegia. Era però antipatica e scostante, poco affabile e molto arrogante, tanto da farla apparire brutta e vecchia.
Viveva col suo micione, un gatto nero dal musetto bianco, con grandi occhioni color ametista: la donna divideva i pasti con lui e con lui conversava e dormiva.
Per tutto il giorno faceva solo tre cose: procurarsi la legna per riscaldare la casa e cucinare, suonare pentole e coperchi, danzando a cavallo di una scopa in saggina che sembrava magica, creare calze di lana ai ferri.
Calze di tutti i colori e di ogni fattezza e misura. Calze grandi e piccole, di lana bianca, rossa, colorata e a volte rattoppata. Ne aveva cucite migliaia e migliaia, convinta che un giorno le avrebbe indossate, invece erano tutte conservate in soffitta. Erano davvero tante, e molto belle!
Tutti gli abitanti del villaggio vedevano in lei una specie di strega, quasi una maniaca, e nessuno osava avvicinarla. Ne avevano paura!
Arrivò una lunga e fredda sera di gennaio, era abbondantemente passata l’ora di andare a dormire, e la Befana, questo il nome della donna misteriosa, stava aggiungendo un bottoncino rosso a una calza a strisce colorate. Mentre cuciva gli ultimi dettagli, improvvisamente sentì bussare alla sua porta. Non era un orario consono per le visite, e lei, a dirla tutta, non conosceva nessuno e non era abituata al fatto che qualcuno potesse cercarla. Eppure si convinse ad aprire la porticina della sua umile dimora a cui nessuno aveva mai bussato. Era sorpresa e sembrava addirittura emozionata.
Si fece coraggio e appena aprì la porta scricchiolante… quanta bellezza, quanta meraviglia!
Si pararono dinanzi a lei tre uomini alti, eleganti e regali, dai lineamenti orientali, accompagnati da altrettanti cammelli, che trasportavano qualcosa di imprecisato.
“Conosce la strada per Betlemme, gentile signora?” – chiese uno di loro, dalla pelle scura e dagli abiti color del cielo trapuntati d’oro.
“E voi chi siete, signori? Mi parete dei maghi, così abbigliati, ma forse siete solo tre cercatori di fortuna e probabilmente mi state giocando un brutto scherzo. Per quale motivo vorreste recarvi a Betlemme a quest’ora di notte?”
Fu così che i tre raccontarono alla incredula e spaventata donna di essere i Re Magi!
“Andiamo a portare i nostri doni al Nuovo Nato, il salvatore del mondo, il piccolo Gesù Bambino. Ci accompagni, la prego, e ci indichi la strada!”.
La Befana cominciò a rimuginare. Era ancora scettica, certo, ma più di tutto la pigrizia prese il sopravvento.
“E dovrei lasciare il tepore della mia dimora per avventurarmi fin laggiù in questa gelida notte?” – rispose con una lunga risata sarcastica e saccente.
Diede loro le indicazioni, in modo molto approssimativo, e li lasciò andare, soli, in compagnia del freddo, sotto il pallore di una luna assonnata.
Eppure, poco dopo aver richiuso l’uscio di casa, si pentì. Che errore, rifiutare l’invito di recarsi a omaggiare il Bambin Gesù!
Doveva raggiungerli, al più presto, forse non era troppo tardi e non c’era un minuto da perdere!
Bisogna dirlo, la Befana un po’ maga lo era per davvero. Poteva infatti cavalcare la sua insostituibile scopa per volare sui cieli del mondo, finché le luci dell’alba non avessero fatto capolino su un cielo ancora appisolato.
Cercò i Magi a destra e a manca, con l’aiuto della luce lunare e delle stelle che ricamavano la distesa celeste, ma non riuscì a vederli da nessuna parte.
Ecco dunque che un’idea le balenò in testa, riempiendola di gioia e speranza, mostrando, prima di tutto a se stessa, quanto amore potesse esserci nel profondo del suo cuore, celato sempre da arroganza e presunzione.
Volando su tetti e comignoli, si fermò in tutte le case del mondo in cui fosse presente almeno un bambino, nella viva speranza che uno di loro fosse Gesù.
Ecco Francesca ed ecco Alessandro, e Maya, Nicola e la piccola Matilde. A ogni fanciullo regalava una delle sue calze piene di dolci e caramelle, doni e piccole letizie, e qualche pezzetto di carbone come portafortuna. Per la prima volta in vita sua, ebbe un moto di gentilezza e affetto.
Da quella notte di oltre duemila anni fa, ogni anno, il 6 gennaio, ripete questo gesto d’amore con ogni bimbo del pianeta, certa che il piccolo Gesù possa trovare la sua ricompensa, quella che lei stessa, nella gelida notte della visita dei Magi, gli aveva negato.
Basta appendere una calza al camino o al davanzale, logora o pregiata che sia, e andare subito a dormire.
Perché quel Gesù Bambino, piccolo fanciullo luminoso e splendente, potresti essere proprio tu!
Giornalista