Quando annunciò la candidatura a Capitale della Cultura 2021, in tanti rimasero esterrefatti. Perché vedevano in Isernia una piccola cittadina che non avesse requisiti i necessari per competere con le altre 44 città candidate. Grande errore, perché il capoluogo di provincia molisano ha tanto da dare e da dire in fatto di storia ed erudizione. Il suo cuore storico custodisce chicche che non hanno nulla da invidiare alle più rinomate città turistiche. Vi racconto storia, tradizioni e passioni in questo bellissimo excursus nell’antica Aesernia, in latino, o Aisernio in osco, in uno dei territori più importanti della civiltà del Sannio Pentro.
Isernia giace sul fianco di una collina, tra il monte Matese e le Mainarde, vicino ai corsi d’acqua del Carpino e del Sordo: è questo uno dei motivi per cui si pensa che il suo toponimo derivi dalla radice indoeuropea ausa, che vuol dire acqua, la quale ha dato origine a molti nomi di luoghi e città in tutta Europa. Fu tra i primi insediamenti paleolitici documentati nel continente europeo. Le prime tracce, infatti, risalgono a 736mila anni fa, e i resti oggi sono visitabili nella località La Pineta. Questo prezioso giacimento ha restituito abbondante materiale sia archeologico che paleontologico ed è considerato di grande importanza per la ricostruzione dei primi popolamenti d’Europa, con resti faunistici molto abbondanti che appartengono a più specie: bisonte, elefante e rinoceronte sono gli animali presenti con maggior frequenza. Nel 2014, nell’area di scavo, è stato ritrovato un incisivo superiore, dente da latte di un bambino di circa 6-7 anni, che ad oggi è il rinvenimento di bambino più antico d’Italia. Il ritrovamento di un cranio nella campagna di Ceprano ha permesso la ricostruzione della fisionomia dell’uomo presente nel sito, con fronte sfuggente e piatta e statura bassa e robusta. La collocazione di questo uomo, ribattezzato come Homo Aeserniensis, è in un’epoca tra l’Homo erectus e l’Homo sapiens e di lui si sa che fosse stato il primo conoscitore e sperimentatore del fuoco.
La città di Isernia fu dominata dai Sanniti fin dal V secolo a.C., e nel 264 a.C. divenne colonia romana. Nel 90 a.C. fu capitale della lega italica e per mano di Silla venne rasa al suolo. Negli anni successivi, vari imperatori, da Cesare a Nerone, promossero un piano di ripopolamento inviando colonie nei territori ove sorgeva la città. Ai tempi di Traiano, Isernia venne elevata al rango di Municipio. I Vandali capitanati da Genserico la rasero al suolo nel 456, ma si guardarono bene dal ricostruirla.
Isernia non è stata mai dotata di un castello, piuttosto di una cinta muraria ancora oggi in parte individuabile nel centro storico. Nel VII secolo i Longobardi del Ducato di Benevento ne promossero la rinascita con la costruzione di opere pubbliche e durante il dominio normanno subì una fase di decrescita che vide l’unificazione della sua diocesi con quelle di Venafro e Bojano. Già dal XII secolo, grazie alla sua sopraelevazione, era una città ben protetta. Nel XIII secolo la città rinacque ancora, grazie a Federico II, e nel 1519 fu annessa da Carlo V al Regno di Napoli. Alla fine del XVIII secolo, era la città più popolosa del Molise. Il 10 settembre 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, la piccola cittadina pentra subì un pesantissimo bombardamento da parte degli alleati, che rase al suolo quasi un terzo dell’abitato con la conseguente morte di un numero altissimo di persone. Dopo la scissione tra Molise e Abruzzi, il 16 febbraio del 1970 il Parlamento sancì l’istituzione della nuova provincia che divenne operativa il 3 marzo dello stesso anno.
Passeggiando nell’elegante e raffinato centro storico dell’antica cittadina, e su Corso Marcelli, probabilmente non si penserebbe mai di avere, sotto ai piedi, i resti della colonia romana di Aesernia, costituita dopo la definitiva vittoria sui Sanniti, nel 263 a.C.. La Res publica romana divise la città su due strade principali: il cardo era proprio Corso Marcelli, il corso principale odierno di Isernia storica. Il borgo antico ha un’ampia piazza, dedicata a Celestino V, nativo di Isernia, nella quale è presente una delle fontane più belle e caratteristiche della storia dell’architettura italiana. È una fontana speciale, la Fontana Fraterna, denominata anche Fontana delle sette cannelle, tra le più belle d’Italia, un miscuglio di stili e pezzi. Su di essa vi è uno dei misteri dell’epigrafia: “-AE PONT-“. I migliori studiosi epigrafisti, tra cui Mommsen, non sono mai riusciti a risolvere il caso e il significato è ancora oggi un quid. L’epigrafe si dice appartenesse al monumento sepolcrale di Ponzio Pilato, ma è un’ipotesi molto remota. La fontana è composta da blocchi di pietra locale provenienti da un certo numero di edifici romani della città, ed è formata da una serie di archi a tutto sesto. Al centro della fontana vi è una lastra di marmo più grande delle altre, decorata con due delfini e un fiore, di origine romana, forse proveniente da un edificio sepolcrale. A sostegno delle colonne ci sono dei capitelli di forme diverse, perlopiù ioniche. Oltre all’epigrafe in oggetto, ce n’è una dedicata agli Dei Mani sul fondo, e ancora un’altra sul lato destro che indica la costruzione di una fontana in epoca medievale. Sempre sul lato destro, un’altra è incastonata con uno stemma: l’epigrafe è FONS ISTE/CUIUS POSIT/RAMPINIANI/ME PARABIS, mentre lo stemma è formato da uno scudo in rilievo e una croce uncinata che si presume appartenesse alla famiglia Rampino. Si può quindi affermare che la fontana non risalga a un periodo storico preciso ma sia un insieme di reperti di periodi storici diversi, essendo costruita non soltanto con pezzi di origine romana ma anche accorpando fontane già esistenti.
Sotto il pavimento del centro storico, vi sono i resti di cisterne romane. A Aesernia, come in tutto il territorio romano, vi erano fontane pubbliche e case private con acqua corrente e questo era dovuto alla grande maestria dei Romani. Una fitta rete di canali permetteva di portare l’acqua ridistribuita in cisterne che la conservavano. L’antico acquedotto romano parte dal ponte San Leonardo e va fino al cosiddetto Pozzo. In questo punto se ne devia un ramo che corre all’interno della città, che anima sette fontane pubbliche e circa quarantacinque private, mentre l’altro ramo, nel quale scorre un maggior volume di acque, anima diverse macchine idrauliche. Si tratta di una delle opere di ingegneria romana più straordinaria che ancora si conserva a Isernia. Scavato nelle viscere della città, nelle rocce travertiniche del sottosuolo, è in funzione senza interruzione da oltre duemila anni. Non esiste alcun documento epigrafico per documentare l’epoca della sua costruzione, ma molti studiosi suppongono che sia di molto anteriore al periodo imperiale, forse da mettere in relazione alla fondazione della colonia latina nel III secolo a.C.. Altri studiosi, invece, sostengono che possa essere di epoca traiana. Le acque vengono captate attraverso una serie di canali di drenaggio costruiti artificialmente per convogliare le varie vene acquifere a un unico pozzo che costituisce il vero inizio del condotto. A proposito di acque, si trova in contrada Acqua sulfurea uno stabilimento termale in disuso da molto tempo, nel quale è presente una fontana di acqua solfurea ancora funzionante.
Dove ora sorge la cattedrale di San Pietro, in piazza Andrea di Isernia, si incrociavano cardo e decumano: era qui presente l’area pubblica, con il foro, il teatro e il tempio. Il duomo si innalza proprio sull’antico tempio pagano italico del III secolo a.C., dedicato a Giove. Le sue basi e il grandioso podio furono poi utilizzati dai Cristiani che vi costruirono appunto una cattedrale. Il tempio latino non aveva l’ingresso verso la piazza del Mercato. Alle sue celle si accedeva originariamente da una grande scalinata sistemata nella parte opposta all’attuale ingresso, all’altezza di un vicolo dedicato a Giobbe che altro non è che la trasformazione dell’originario termine latino di Jovis. Il vico di Giobbe, quindi, è l’antica via di Giove, attraverso cui si arrivava al grande tempio dedicato alla triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva. Per la costruzione dell’edificio attuale alcuni materiali dell’antico tempio sono stati riciclati e ciò ha chiaramente reso più difficoltoso la ricostruzione delle fattezze dell’antico stabile. Scendendo al di sotto del pavimento della chiesa troviamo questi resti italici. Il podio è unico perché ha una forma particolare, “a doppio cuscino”, per le sue sporgenze che ricordano un cuscino di certo non comodo ma che è una rarità. Il tempio fu poi dedicato al divo Giulio Cesare, venendo rivestito di marmo.
Anche l’Eremo dei Ss Cosma e Damiano, come la cattedrale, fu costruito sovrapposto a un antico tempio pagano. Nel 1781, sir W. Hamilton, ministro di S. M. Britannica alla corte di Napoli, indirizzò a sir Joseph Banks, baronetto, presidente della Società Reale, una lettera in cui affermava di aver scoperto che poco lontano dalla provincia veniva ancora reso una sorte di culto a Priapo seppure sotto nuova denominazione: San Cosma. “In Isernia Città Sannitica, oggi della provincia del Contado di Molise, ogni anno il 27 Sett. vi è una Fiera delle classi delle perdonanze, così dette negl’Abruzzi li gran mercati, e fiere non di lista. Questa fiera si fa sopra di una collinetta dove nella parte più elevata vi è un’antica Chiesa con un vestibolo. La chiesa è dedicata ai Santi Cosma e Damiano. Nella fiera e in città vi sono molti divoti, che vendono membri virili di cera di diverse forme, e di tutte le grandezze, fino ad un palmo; e mischiate vi sono ancora gambe, braccia, e faccie ma poche sono queste. Quei che li vendono, tengono un cesto, e un piatto; li membri sono nel cesto, e il piatto serve per raccogliere il danaro d’elemosina… Qui si ricevono messe e litanie… Questa divozione è tutta delle Donne, e sono pochissimi quelli, o quelle, che presentano gambe, e braccia, mentre tutta la gran festa s’aggira a profitto dei membri della generazione. Io ho inteso dire ad una donna: San Cosma benedetto, così lo voglio. Altre dicevano: San Cosma a te mi raccomando; altre: San Cosma ringrazio; e questo e quello osservai, e si prattica nel vestibolo, baciando ogn’una il voto che presenta. Dentro la Chiesa nell’altar maggiore un canonico fa le sante unzioni con l’olio di San Cosma. La ricetta di quell’olio è la stessa del Rituale Romano, con l’aggiunta dell’orazione dei S.S. martiri, Cosma e Damiano. Si presentano all’Altare gli Infermi d’ogni male, snudano la parte offesa, anche l’originale della copia di cera, ed il Canonico ungendoli dice, Per intercessionem beati Cosmi, liberet te ab omni malo. Amen. Finisce la festa con dividersi li Canonici la cera ed il denaro, e con ritornar gravide molte donne sterili maritate, a profitto della popolazione delle Provincie; e spesso la grazia s’estende senza meraviglia, alle Zitelle, e vedove, che per due notti hanno dormito, alcune nella Chiesa de’ P.P. Zoccolanti, ed altre delli Cappuccini, non essendoci in Isernia Case locande per alloggiare tutto il numero di gente, che concorre: onde li frati, ajutando ai preti, danno le Chiese alle Donne, ed i Portici agl’uomini; e così Divisi succedento gravidanza non deve dubitarsi, che sia opera tutta miracolosa, e di divozione”.
Altre chiese della città sono quella di San Francesco, fatta costruire nel 1222 da San Francesco d’Assisi, tradizionalmente nota anche come chiesa di Sant’Antonio. E poi la chiesa di Santa Chiara, il monastero di Santa Maria delle Monache, costruito intorno all’anno 1000, che ha ospitato le monache dell’ordine benedettino, nelle cui stanze sono oggi presenti il Museo Nazionale, la Biblioteca Comunale di Isernia e parte del Museo paleolitico di Isernia. La chiesa di San Giuseppe lavoratore, nel rione San Lazzaro, il più popoloso della città, quella dedicata a San Pietro Celestino, la chiesa dell’Immacolata Concezione, sede della Confraternita di San Pietro, la chiesa di Santa Maria Assunta, di recente costruzione, la parrocchia Sacro Cuore.
Artigianato tradizionale e simbolico della città di Isernia è rappresentato dalla lavorazione del merletto a tombolo, tanto che il capoluogo molisano viene definito la città dei merletti. Una delle caratteristiche che più contraddistingue il tombolo isernino, oltre alla finissima fattura, è un tipo di filo prodotto in zona di colore avorio che rende tutto il lavoro più luminoso e molto elegante. Il tombolo si introdusse nella città in epoche antichissime. Si presume, infatti, che la diffusione di questa splendida arte risalga al XIV secolo, per mano di un gruppo di suore spagnole che alloggiavano nel monastero di Santa Maria delle Monache. Col passare del tempo la lavorazione è diminuita ed è stata portata avanti in maniera meno artigianale e più industriale. L’arte del tombolo è anche una materia scolastica presso l’Istituto d’Arte della città.
Tra i festeggiamenti religiosi isernini, ricordiamo quelli che avvengono durante il Venerdì Santo, con la tradizionale processione degli incappucciati, fedeli che per un voto di penitenza si cingono la testa con una corona di spine e partecipano alla processione incappucciati da un telo bianco, recando croci e camminando a volte scalzi. Tra il 28 e il 29 giugno, in occasione dei festeggiamenti in onore dei santi Pietro e Paolo, si svolge la Fiera delle Cipolle, nata per favorire il commercio di questo ortaggio tipico della zona. A dicembre invece si svolge la Fiera del Tartufo Bianco Molisano, un evento che raccoglie molti appassionati e raccoglitori. Non si deve dimenticare, infatti, che il tartufo bianco molisano contribuisce al fabbisogno nazionale con una percentuale non poco considerevole: circa il 40% della domanda nazionale ed è certamente fra i più pregiati e prelibati. La gastronomia isernina, come tutta quella molisana, offre una varietà legata soprattutto all’allevamento e alla tradizione contadina. Degni di nota sono i turcinelli, interiora d’agnello avvolte nelle frattaglie e poi arrostite, oltre che la polenta con i fagioli, chiamata ru macche, e i frattaruoli, tocchetti di polenta con salsiccia. Ricordiamo, inoltre, il piatto unico ru sciarone: si tratta di mezzelune di pasta ripiene con uova e formaggi.
Giornalista