Immagini dal Sannio: la processione dei battenti del Venerdì Santo di San Lorenzo Maggiore

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Attimi della processione del Gesù Morto, foto di copertina di Claudio Cesarano

In piena Quaresima si respirano e vivono i profumi di penitenza e redenzione della Santa Pasqua. A San Lorenzo Maggiore, piccolo borgo dell’entroterra del Sannio beneventano dedito principalmente all’attività rurale, pieno di storia, segreti e bellezze architettoniche, ogni anno la spiritualità dei cittadini emerge e si fortifica ancor di più nel periodo penitenziale. Le settimane che precedono la Santa Pasqua sono ricche di emozioni e speranze e ci si prepara, fisicamente e spiritualmente, al grande rito del Venerdì Santo che ritrova le sue origini nel Medioevo.

In questo  piccolo centro sannita, annualmente, durante il Venerdì che commemora la morte del Signore si svolge una singolare processione in onore della Vergine Addolorata. Le prime testimonianze di questa antica tradizione risalgono al ‘700: un nutrito gruppo di laurentini, incappucciati e penitenti, aprivano il corteo insieme alla statua del Gesù Morto precedendo verso quella della Vergine Addolorata, entrambe portate da fedeli incappucciati, seguite dagli altri devoti, alcuni scalzi e altri portanti ceri votivi. L’origine della penitenza ricorda che di sera una sorta di giullare, uno “strillone”, girava per le vie del paese, e invitava i cittadini a meditare sulla fugacità della vita e dei beni terreni, e sulla necessità di scegliere la conversione sincera del cuore. Lo faceva agitando un campanello per attirare l’attenzione, in modo che il tintinnio predisponesse i laurentini all’ascolto.

Durante la Settimana Santa nelle varie chiese del paese veniva preparato il Santo Sepolcro e si eseguivano canti e letture penitenziali. Il Venerdì Santo, alle 7 del mattino, il popolo si radunava nella chiesa di San Rocco per portare in processione le due statue. Il corteo era aperto da un nutrito gruppo di ragazzi, coronati di spine, come Cristo, cinti di funi al torace e alle spalle, agitanti il fracasso, o battola, per riprodurre lo strepito fatto dai Giudei durante la passione di Gesù. Un altro gruppo di ragazzi intonava lentamente il canto del Miserere e altri salmi. A seguirli, i membri delle varie Congregazioni religiose maschili e femminili. Dopo di loro si disponevano i penitenti incappucciati che si percuotevano con la disciplina, oggetto penitenziale simile a un flagello ma costituito da più catene formate da piastrelle di metallo che durante la processione provocano ferite sanguinanti.

I battenti in processione, foto di Fiore Silvestro Barbato

Oggi non c’è più lo “strillone” e la processione non si svolge più al mattino ma nel tardo pomeriggio, eppure tutto il resto è rimasto invariato. I protagonisti sono chiamati Battenti o Disciplinari o ancora Flagellanti. A differenza dei battenti della vicina Guardia Sanframondi, penitenti che in occasione dei Riti Settennali di penitenza in onore dell’Assunta si battono con una spugna di sughero conficcata di spilli, i flagellanti laurentini, figura che pure ritroviamo a Guardia, per battersi utilizzano unicamente la disciplina. Sono uomini e donne di San Lorenzo, ma molti di essi provengono anche da paesi vicini, e lo fanno per amore di fede e pura devozione, con addosso un camice bianco che richiama la purificazione, il volto coperto da un cappuccio forato agli occhi che li rende irriconoscibili e la testa circondata da una corona di lunghe spine che richiama quella di Cristo. Ai fianchi portano un cordone intrecciato a richiamo delle funi con cui Cristo fu legato e flagellato e si percuotono mentre camminano scalzi e con lento incedere, percorrendo le strade del paese che riecheggia di canti e tintinnii di discipline. Il momento più particolare ed emozionante è quello in cui, al termine della processione, il corteo arriva in piazza Largo di Corte ove avviene il commovente incontro tra l’Addolorata e i battenti che procedono in ginocchio fino all’interno della chiesa. Si tratta di una delle processioni più partecipate che lascia trasparire quanto i laurentini vivano intensamente la settimana santa, da sempre momento di penitenza e redenzione.

Quella della flagellazione è un’antica forma di penitenza che raggiunse la sua massima diffusione nel XIII secolo, attraverso cui i fedeli, compatendo in modo attivo le sofferenze di Cristo, espiavano i propri peccati e quelli della comunità e tramite la quale, nel Medioevo, si chiedeva a Dio la cessazione di catastrofi, guerre ed epidemie. La flagellazione era una pratica religiosa molto diffusa in svariate religioni del mondo antico, come ad esempio il culto egiziano di Iside, o i misteri dionisiaci. Anche durante le feste romane dei Lupercalia si usava fustigare le donne, rito usato per favorire la fertilità. Nel mondo cristiano, la flagellazione è suffragata da un passo biblico: “Anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (Paolo, Prima lettera ai Corinzi 9,27). Verso la metà del XIII secolo, in Italia centrale si sviluppò il movimento dei flagellanti, che organizzavano processioni per le vie della città mentre i penitenti si percuotevano a sangue, affinché espiassero i peccati del secolo e preparassero l’avvento del regno dello Spirito. Nel tempo, il movimento si estese a tutta l’Europa.