Immagini dal Sannio: la Marchigiana dell’Alto Sannio, eccellenza per il palato

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La mucca della razza Marchigiana, foto di archivio

Oggi viaggiamo con gli occhi e con il palato perché ci spostiamo nella zona del Tammaro-Fortore, uno dei territori più belli e incontaminati dell’Alto Sannio, con i suoi pascoli verdi ed estesi che ospitano grandi allevamenti, e ancora il suono del silenzio e della sostenibilità, l’odore della terra e dei prati rigogliosi. L’aria, poi, è tersa, una delle più pulite dell’entroterra sannita, che dona profumo di natura e freschezza a uno dei territori più invidiati drlla provincia. Qua e là, il rumore dei campanacci delle mucche, uno dei suoni più tipici del territorio, amato soprattutto dai bambini quando lo sentono da lontano. Ma non sono mucche qualunque, no: è la razza Marchigiana, la cui carne primeggia in fatto di qualità. Le vacche in questione sono riconoscibili dal bianco manto tendente al grigio che le caratterizza, dalle appuntite e nere corna che si protendono in avanti, dall’addome ampio e dagli arti brevi e robusti. Proveniente dal ceppo Podolico, diretto discendente del bovino selvatico detto uro o aurochs, la razza fu classificata nel 1827 dal Bojanus come Bos primigenius.

Non si conoscono esattamente le sue origini, né si sa come mai sia arrivata in Europa. Probabilmente dobbiamo risalire al IV secolo d.C.. Lo storico greco Erodoto parlò dell’uro quando descrisse la regione tra l’Olimpo e l’odierna Salonicco, sostenendo la “grande abbondanza di quei bovi selvatici, provvisti di corna altissime, le quali si importano in Grecia”. La Marchigiana è notissima per la grossa mole e per la grande capacità di resistenza che la caratterizza. Questo animale, infatti, fu inizialmente scelto per svolgere i pesanti e lunghi lavori nei campi, adattabile a condizioni ambientali difficili. È la terza razza da carne in Italia, allevata soprattutto al pascolo in zone collinari e montane, e fa parte del trittico di bovini tutelati dal Consorzio del Vitellone Bianco. Gli esemplari migliori sono le femmine “scottona” macellate tra i 16 e i 24 mesi, dalle quali si ottiene un prodotto di eccellenza.

La bistecca alla Fiorentina, foto di archivio

La vera e propria Marchigiana nacque agli inizi del ‘900, originata dall’incrocio che gli allevatori delle Marche fecero tra l’originaria Podolica con la razza Chianina, e con quella di razza Romagnola. Le caratteristiche del territorio fortorino, dagli ampi spazi sia collinari che montani, ne fanno uno dei migliori habitat in quanto ad allevamento e produzione. Non solo: la verde zona in questione ha dalla sua parte la natura pura e incontaminata, il clima mite, e terreni boscosi e ricchi di acqua e sorgenti. La Marchigiana non è certamente una vacca indicata per la mungitura, in quanto povera di latte, piuttosto è la qualità della sua carne pregiata che la contraddistingue dalle altre, eccellente e magra, dall’ottimo sapore, molto proteica e dal basso contenuto di colesterolo. Nel corso dell’anno questa razza assume un ruolo centrale nelle manifestazioni gastronomiche dedicate, come quella organizzata a San Giorgio La Molara, che conta centinaia di aziende per l’allevamento, dove per più giorni si dà spazio a questo prodotto IGP di eccellenza, con l’esaltazione e la rievocazione di vecchi sapori mixati a nuovi esperimenti culinari. La Marchigiana va cucinata prevalentemente su fuochi di legna aromatica. Il vitellone bianco D.O.P. può essere degustato alla brace. Su tutte, la ricetta più apprezzata è la bistecca alla Fiorentina, accompagnata ovviamente da un bicchiere di Aglianico del Taburno.