La “caccavella”, una parola semplice dalla memoria antica

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Prima di andare a lavoro, presa dalla solita fretta, mia moglie mi ha detto: “Sti caccavelle le lavi tu?”.
Caccavella è un termine usato per indicare le pentole e, per estensione, le stoviglie in generale. Dal greco càccabos/càccabe, è uno dei tanti lasciti linguistici che i greci, antichi fondatori della città di Napoli, hanno donato alla lingua partenopea.

Le parole nuove, nella storia, spesso si sono sostituite alle parlate originarie andando ad occupare posti vuoti o a sostituire il termine arcaico per facilità di pronuncia, per velocità del suono ( le parlate dialettali troncano sempre le parole per rendere più veloce il discorso orale) e non ultimo per motivi estetici una parola piaceva più dell’altra o solo suonava meglio.

La caccavella a Napoli sta ad indicare primariamente la pentola in creta utilizzata per cuocere il cibo in generale mentre u caccaviello, per derivazione, è la pentola più alta per cucinare la pasta. Su tutte si erge u caccavo, il pentolone di rame dove far cuocere l’acqua.

La fantasia partenopea ha costruito intorno alla caccavella diversi significati, per cui una donna bassa e grassa è chiamata caccavella ma pure un orologio rotto o di cattiva qualità, soprattutto l’orologio da taschino dove (forse) si confonde il pendolo con la pentola, è detto caccavella.
Non manca il riferimento sessista per il quale la caccavella diventa una donna poco seria: “A caccavell i sor’ t” (“la vulva di tua sorella”).

Dove la fantasia e la creatività napoletana trovano la massima espressione è nel denominare
uno degli strumenti della tarantella che consistente proprio nella pentola di creta ricoperta di una membrana di pelle al cui centro è infisso un bastoncino di legno che, sfregato con la mano bagnata di acqua, produce un caratteristico suono cupo: la caccavella. La caccavella particolarmente usata nella musica folkloristica e nei canti popolari viene indicata anche come putipù; anche se l’origine sembra essere la stessa, la differenza sta nella fabbricazione e nei materiali di costruzione, la prima costruita in terracotta e il secondo in legno.
Il nome putipù rappresenta una onomatopea che richiama il suono prodotto dallo strumento, come accade per altri strumenti tradizionali, come ad esempio il triccheballacche, il cui nome nasce per definire il suono che scaturisce dalla frizione o dai movimenti dei materiali che li compongono.

Curiosità – A caccavella è anche il titolo di una canzone napoletana resa celebre da Nino Taranto:
Ho comprato la caccavella,
ho comprato la caccavella…
la caccavella…
Per l’amore della mia bella,
per l’amore della mia bella…
della mia bella!
Se la luna mi guarda e balla
con quel viso di pastafrolla…
di pastafrolla…
Me ne infischio pure di quella…
Canto questa serenatella
alla mia bella…