Benevento è una città gioiello del Sannio campano, simbolo della forza sannita e della crescita culturale, architettonica e urbanistica del periodo romano, quando tocco l’apice in fatto di sviluppo urbano: fu allora, infatti, che i Romani conquistarono il territorio a danno dei Sanniti. Dolci colline circondano la città, primo nucleo urbano sannita. Varrone ci dice che fu fondata da Diomede, eroe greco che vi sbarcò a seguito della distruzione di Troia, e che addirittura riservò per essa una zanna del mitico cinghiale Calidonio che venne ucciso da suo zio Meleagro. In ogni caso, la fondazione di Benevento dovrebbe certamente dirsi osca. Inizialmente Maleventum, da Maloenton, la cui etimologia sarebbe da identificarsi in Malies, o Malocis. Come già detto, nel periodo della romanizzazione la città divenne un importante e ricco centro economico legato all’economia agricola, alla pastorizia, alle attività commerciali che videro floridezza grazie al passaggio della via Traiana, il nuovo tracciato dell’Appia che, entrando dal ponte Leproso, collegava Capua a Benevento e proseguiva poi per Brindisi. Benevento divenne municipium romano, e fu visitata dagli imperatori dell’epoca, da Augusto a Nerone. Ai tempi di Traiano raggiunse il massimo splendore, finché non venne distrutta dal terremoto del 369. Parlare di Arco Traiano e Teatro romano come gioielli dell’epoca romana è davvero riduttivo: dal Ponte Leproso alla Rocca dei Rettori, i gioielli di epoca romana a Benevento sono davvero tanti e anche importanti. In ogni caso, per non dovermi dilungare in un trattato che non avrebbe prossima fine, ho dovuto scegliere quelli che sono considerati i veri simboli di questa piccola, lungimirante ed eterna città.
L’Arco Traiano è bello, elegante, imponente, altero, ed è considerato il vero simbolo della cittadina capoluogo del Sannio. Il monumento trionfale venne dedicato all’imperatore Traiano e fu inaugurato quando si aprì la via Traiana. Esso risulta essere l’arco trionfale romano meglio conservato in assoluto, anche grazie alla cura che ne ebbero i longobardi. Si data la sua costruzione tra il 114 e il 117 d.C., quando divenne una porta d’accesso alla città, con la denominazione di Port’Aurea. Doveva, infatti, rappresentare il coronamento dell’impresa certamente eccezionale della realizzazione della via Traianea e dei più veloci e sicuri collegamenti fra Roma e le province orientali. Benevento godeva di un ruolo strategico e politico e Traiano volle onorarla allestendo un’opera che oggi è testimone delle ultime grandi conquiste dell’Impero Romano. Costruito in blocchi di pietra calcarea, rivestiti da opera quadrata in blocchi di marmo pario, a unico fornice, alto 15,60 metri e largo 8,60 metri, subì svariati restauri per essere stato oggetto dei danni del tempo e dei terremoti. L’arte raffinata, il gusto sopraffine dei Romani sono tutti rappresentati in questa opera magistrale, caratterizzata dalla ricchezza delle decorazioni dei materiali pregiati. Le decorazioni sono presenti su entrambe le facciate principali, con scene che invocano alla pace e alle provvidenze, ma anche alla guerra, con i suoi successi e le vittime, o ai sacrifici fatti dall’imperatore mentre provvedeva a fornire cibo a bambini poveri. Questa l’iscrizione:
IMP[eratori] CAESARI DIVI NERVAE FILIO
NERVAE TRAIANO OPTIMO AVG[usto]
GERMANICO DACICO PONTIF[ici] MAX[imo] TRIB[unicia]
POTEST[ate] XVIII IMP[eratori] VII CO[n]S[uli] VI P[atri] P[atriae]
FORTISSIMO PRINCIPI SENATVS P[opulus]Q[ue] R[omanus] (Traduzione: All’imperatore Cesare, figlio del divo Nerva, Nerva Traiano Ottimo Augusto Germanico Dacico, pontefice massimo, (rivestito della) potestà tribunicia diciotto (volte), (acclamato) imperatore sette (volte), console sei (volte), padre della patria, fortissimo principe, il Senato e il Popolo romano (posero)).
Teatro romano. Anche quest’opera è segno di assoluto valore artistico, nonché denota la particolare magnificenza architettonica dei Romani. Il Teatro romano è un’antica struttura costruita dall’imperatore Adriano e ultimato da Caracalla nelle vicinanze del Cardo maximum, inaugurato soltanto fra il 125 e il 128 d.C. da Adriano, al quale venne destinata un’epigrafe dedicatoria visibile nei pressi del frontescena. La sua costruzione originale, in pianta semicircolare, poteva contenere fino a 10mila persone, forse anche 15mila, per 90 metri di diametro. Realizzato in opus caementicium, con paramenti in blocchi di pietra calcarea e laterizio, in origine era costituito da 25 arcate in tre ordini, di cui si oggi si conservano solo il primo e una piccola parte del secondo ordine. La cavea a pianta semicircolare era collegata alla scena attraverso una facciata in laterizio, con tre porte monumentali e ampie nicchie, nelle quali, probabilmente, venivano inserite le statue di gladiatori e di personaggi famosi della famiglia imperiale. In essa si rilevano i tre ordini tuscanico, ionico e corinzio. Le gradinate e l’edifico scenico erano ricoperti da lastre marmoree policrome e stucchi che ancora oggi si sono in parte conservati. Le Parodoi erano per i greci gli spazi praticabili tra il limite dei sedili e la scena che collegavano l’orchestra con l’esterno del teatro, mentre i romani le chiamavano Versurae, per i quali avevano funzione di ingresso per coloro che sedevano ai posti d’onore.
Entrando sulla scena vi sono due cippi: sul primo a destra, sulla facciata anteriore, c’è l’iscrizione che celebra Adriano e che indica l’inizio dei lavori, mentre sul secondo cippo si celebra Caracalla e si indicherebbe la data di chiusura dei lavori, 200-210. Dietro la scena, tre scalinate conducono a uno spazio collocato a una quota inferiore rispetto al monumento, probabilmente un ingresso monumentale per gli artisti. Il viale d’ingresso è decorato da mascheroni che richiamano quelli usati dagli attori. Eccellente l’acustica del teatro, che tutt’oggi espleta egregiamente le sue funzioni originarie, ospitando manifestazioni di alto rilievo culturale e musicale, come Città Spettacolo. Attorno al teatro sono ancora in corso indagini che hanno rilevato resti di costruzioni forse adibite a scuola di ballo e associazione di artisti. La struttura venne abbandonata in epoca longobarda, quando fu in parte interrata e utilizzata come fondazione per le abitazioni. Inoltre, nel XVIII secolo su quanto restava del teatro venne costruita la chiesa di Santa Maria della Verità. Nel 1890 l’archeologo Almerico Meomartini ne auspicò il ripristino, anche se poi i lavori ebbero inizio molto più tardi e si interruppero nel 1930 a seguito di un forte terremoto. Fu definitivamente ultimato e consegnato nel 1957.
Giornalista