Comunicato Stampa
Ieri pomeriggio, nell’auditorium Vergineo del Museo del Sannio, si è tenuto il terzo dei seminari organizzati dall’Officina “Maria Penna” dell’ANPI provinciale dal titolo “Dal fascismo alle foibe: trent’anni di violenze sul confine” con Eric Gobetti, autore di pubblicazioni sul periodo della Seconda guerra mondiale, la Resistenza jugoslava, la questione dell’Alto Adriatico. Al centro dell’incontro è stato il suo libro “E allora le foibe?”, edito da Laterza, nella collana “Fact Checking: la storia alla prova dei fatti”.
Dopo l’introduzione del responsabile dell’Officina, Nicola Sguera, che ha presentato il nuovo logo dell’Associazione e il nuovo progetto editoriale di una collana di mini “instant book” (entrambi curati graficamente da Gaetano Cantone) dedicati alle lezioni in corso e il cui primo numero ha per argomento l’attualità di don Lorenzo Milani e dopo i saluti del presidente dell’ANPI provinciale, Amerigo Ciervo, Gobetti ha iniziato la sua esposizione della complessa questione del fronte italo-sloveno.
Con il tono pacato dello storico, ha ricostruito la vicenda partendo dall’area di confine tra tre mondi, quello germanico, quello slavo e quello latino che, finché avevano fatto parte dell’impero austroungarico, erano riusciti a convivere pacificamente, generando culture meticce culturalmente ed economicamente ricche e vivaci, per poi incominciare a trasformarsi violentemente con l’avvento dei nazionalismi dell’Ottocento e, in particolare, con i cambiamenti di confine del Novecento. In questo senso decisiva fu la svolta della Prima guerra mondiale con il passaggio all’Italia, dopo il 1918, di aree prima multiculturali e multilinguistiche, sulle quali viene ad imporsi il controllo di uno Stato-Nazione che porta l’intera popolazione ad italianizzarsi. Tale processo si esaspererà con il fascismo che, prima ancora di diventare regime, si fa sentire prepotentemente costringendo tutte le altre identità ad assimilarsi a quella italiana. Migliaia di slavi lasciano quei luoghi verso l’Austria e la Jugoslavia: chi resta è costretto a subire le violenze e il razzismo di chi li considera antropologicamente inferiori e perciò oggetto del più bieco razzismo.
Gli storici sono concordi nell’individuare l’inizio di questa politica repressiva con l’attacco del luglio del 1920 al Narodni dom, la casa del popolo di Trieste, palazzo della comunità slovena molto forte e numericamente rilevante in città. Tale violenza si scatenerà in modo più brutale nel biennio nero, in un crescendo che porterà a un processo di snazionalizzazione e quindi di italianizzazione forzata con l’imposizione della lingua italiana alle popolazioni slave costrette a cambiare la toponomastica, i propri cognomi, finanche a cantare e predicare in chiesa in una lingua non loro.
La brutalità delle disposizioni fasciste; l’invasione nel 1941 della Jugoslavia, paese neutrale, da parte dei tedeschi e degli italiani; la repressione durissima e la deportazione di sloveni e croati nei campi di concentramento di Arbe, in Croazia, e di Gonars, in provincia di Udine; l’internamento nella Risiera di San Sabba dove vengono eliminati migliaia di oppositori politici, sia italiani che slavi; l’eccidio di Podhum, vicino a Fiume, in cui nel 1942 le forze italiane uccidono un centinaio di civili croati e deportano la restante popolazione danno un’idea di come la drammatica vicenda delle foibe debba essere inquadrata nell’esplosione di violenza consequenziale al fascismo di confine dal 1919 in poi, e, in seguito, alla situazione politica che si configurò con il dominio nazista e il collaborazionismo italiano sul litorale adriatico. Gobetti ha invitato a non dimenticare che fu l’aggressione straniera a determinare la nascita della Resistenza jugoslava, come le altre Resistenze europee, impegnata a difendere la propria terra per liberarla dall’oppressione nemica.
È questo lo scenario in cui cresce, nelle popolazioni slave, un fortissimo sentimento anti-italiano e l’idea dell’equivalenza tra Italia e fascismo che portò ai tristi eventi di cui furono vittime i nostri connazionali. La violenza nel periodo successivo all’8 settembre 1943 e poi nel 1945, quello delle due ondate di foibe, rivolta principalmente contro i collaborazionisti del nazifascismo, finì per coinvolgere, indiscriminatamente, la popolazione italiana locale, in una sorta di “resa dei conti” che affondava le sue radici in oltre vent’anni di sopraffazioni e di odio etnico e ideologico.
Anche con riferimento all’esodo dei 300.000 giuliano-dalmati, ha sottolineato Gobetti, contro la narrazione dominante di matrice politica e non storica, che non fu l’effetto di un decreto di espulsione del governo jugoslavo, ma l’esito dei trattati di pace postbellici, e che agli italiani che vivevano in Istria e Dalmazia, come d’altronde agli sloveni e ai croati, fu data la possibilità di scegliere la cittadinanza. D’altronde, l’Italia aveva partecipato alla Seconda Guerra mondiale con la Germania nazista che l’aveva scatenata e che la loro sconfitta determinò la perdita dei territori che il nostro Paese aveva ottenuto dopo la Prima guerra mondiale.
La legge istitutiva del Giorno del Ricordo, ha concluso Gobetti, chiede che siano commemorate le vittime delle foibe, ma sarebbe corretto che venissero ricordate tutte le vittime, anche quelle della brutalità nazifascista: ci sarebbe vera pacificazione e verrebbe neutralizzato qualsiasi uso ideologico e strumentale di un dramma che ha colpito italiani e jugoslavi.