Pietravairano è un borgo agricolo della provincia di Caserta, menzionato per la prima volta in un documento del 1070, oggi conservato nell’archivio dei Benedettini di Montecassino. Il nome con cui viene citato è Castrum Petrae: potrebbe significare che la fortezza prende il nome dalla famiglia De Petra, oppure che la pietra è il materiale di costruzione. Il termine Pietra ha derivazione greca, dato che la Campania fu occupata dai Greci, mentre Vairano potrebbe essere un aggettivo che deriva da Varius come il nome del capitano che guidò l’infelice armata romana nel massacro di Teutoburgo.
Questo piccolo borgo rurale fino ai primissimi mesi del 2000 era considerato uno fra tanti, perché nascondeva un tesoro che lascia incantati esperti, conoscitori, visitatori e appassionati.
Era il mese di febbraio quando Nicolino Lombardi, un dirigente scolastico appassionato di storia, decise di sorvolare le colline del territorio. In realtà, intendeva puntare al monte Urano per osservare, capire e studiare l’andamento di una cinta muraria megalitica che costeggia il versante sud della montagna. Proprio a due passi da casa sua vide delle pietre bianche disposte in modo semicircolare. Doveva esserci qualcosa di grande, non potevano essere frutto della casualità. Fotografò, studio, analizzò, e fece tanti altri voli. Da quel momento la scoperta: si trattava delle mura di un teatro-tempio risalente al periodo romano che si trovava su monte San Nicola, a circa 400 metri di altezza, una posizione predominante su tutta la Valle del Volturno.
Dal momento del primo avvistamento sono state otto le campagne di scavo che hanno interessato il monumento: le prime quattro sono state effettuate in convenzione tra l’Università del Salento e la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, sotto la direzione del prof. Gianluca Tagliamonte e del dott. Francesco Sirano. Le altre campagne di scavo sono state condotte sempre dall’Università del Salento, con la direzione di Tagliamonte, il coordinamento di Luciano Rendina e l’assistenza di due giovani ricercatori, Dario Panariti e Luigi Cinque.
Il complesso è stato a lungo oggetto di restauro.
Il teatro era sovrastato dal tempio, caratteristico luogo in cui ritrovare tutta la spiritualità del periodo in corso. Esso coniugava la bellezza scenica e le influenze culturali del periodo, il tutto su un’altura che regalava un panorama indescrivibile. Studi recenti condotti dall’Università di Lecce hanno dimostrato che si tratta di un teatro di epoca romana, che però precedentemente era sannita. Era tipico della cultura sannita, infatti, far convergere teatro e tempio. Bellezza e sacralità. Arte e spiritualità. È anche vero che i Sanniti consideravano il teatro una locazione sacra, rispetto alla considerazione che ne avevano i Romani, prettamente artistica. Secondo alcuni studi, sembra che già nel II secolo d.C. il teatro non svolgesse più la sua primaria funzione, mentre il tempio che lo sovrastava doveva già essere crollato da tempo.
Esso conserva la cavea semicircolare, atta a contenere diverse centinaia di persone, in ogni caso con non più di duemila posti a sedere, ricavata lungo il pendio naturale della collina sul modello dei teatri greci, e la scaena, sul margine meridionale della terrazza con quattro contrafforti semicircolari. Nell’area della cavea, sulla terrazza inferiore, sono stati ritrovati resti di tegole, lucerne e altri oggetti votivi appartenenti al luogo di culto. Il tutto ricoperto da terreno, strati e strati che si sono avvicendati negli anni.
I pastori, che certamente erano poco propensi a conoscere la cultura della zona, mai si sono chiesti cosa stessero calpestando, loro e il bestiame che accompagnavano. Il tempio, invece, sulla terrazza superiore, era tipicamente sannita, orientato a est/sud-est affinché si potesse osservare la nascita del sole, simbolo di rinascita e buon augurio. Era a pianta rettangolare, di stile tuscanico, con un pronao tetrastilo che introduce a tre celle riservate alle statue della divinità. Sui lati vi erano due vasche di raccolta dell’acqua piovana, ma oggi ne resta soltanto una, quella orientale. I due elementi, il tempio e il teatro, davano vita a un complesso in opus incertum.
Giornalista