Geograficamente parlando, la Daunia appartiene a un territorio nell’antichità occupato dai Dauni chiamato anche La Montagna: è la catena appenninica dei monti Dauni, un luogo da scegliere se si è in cerca di turismo lento, a piedi, a cavallo o in bicicletta, che principalmente occupa la zona pugliese della provincia di Foggia, ma anche quella di Campobasso e i margini nord occidentali delle province di Benevento e Avellino. È pur vero, però, che delle ricerche storiografiche hanno potuto dimostrare che non fossero i Dauni a popolare l’area in epoca preromana, bensì i Sanniti e gli Irpini.
Il paesaggio è caratterizzato da dolci colline affiancate a floride e rigogliose foreste di querce e di faggi, in cui potersi perdere nel romanticismo di casette in pietra che affollano gli antichi borghi ricchi di storia e di bellezze architettoniche. Non è molto lontano dal mare Adriatico, questo territorio aspro, caratteristico del paesaggio fortorino, che in epoca antica aveva una rilevante importanza strategica. Fu qui, infatti, che gli antichi Romani posero il punto di incontro tra le vie Appia, la Regina Viarum oggi patrimonio UNESCO, Traiana, ossia la sua variante, e Adriatica, passaggio obbligato tra Roma, che era la capitale dell’Impero, e l’Oriente. Fu qui che si combatté la celebre battaglia di Ascoli Satriano.
Anche nel periodo medievale ebbe una rilevanza strategica, grazie alla sua posizione elevata rispetto al Tavoliere delle Puglie. Testimonianza di questo sono i numerosi borghi fortificati che questo fantastico territorio ospita.
L’area incontaminata della Daunia è caratterizzata da numerosi fiumi, laghi, sorgenti, riserve faunistiche, ed è una vera e propria risorsa in fatto di biodiversità, dove è facile imbattersi in funghi, tartufi, erbe spontanee e officinali. È qui che si trova la vetta più alta della Puglia, il monte Cornacchia, che si eleva fino a 1151 mt. Ed è qui che possiamo trovare specie animali come il lupo appenninico, il cinghiale, la volpe, il falco, il tasso, la faina. Un habitat, tra l’altro, con rarità faunistiche e botaniche, quali ad esempio le diverse specie di orchidee selvatiche o di anfibi che popolano il sottobosco e le vasche di raccolta delle tante sorgenti.
I molti fiumi presenti, inoltre, hanno dato impulso a vere e proprie attività produttive, come nel settore dei laterizi e della molitura. Pascoli e praterie sono da considerarsi meraviglie del paesaggio, tesori che vanno ad affiancarsi a un’attività agricola di tipo estensivo, con una forte presenza di vigneti e oliveti. Ecosistemi con caratteristiche di rarità e pregio sono stati il driver per l’avvio di un progetto legislativo (L.R. 24 luglio 1997 n. 19) che doveva concludersi con l’istituzione (non attuata) dei parchi regionali “Boschi Sub Appennino dauno settentrionale” (art. 5, comma 1, scheda E2) e “Boschi Sub Appennino dauno meridionale” (art. 5, comma 1, scheda E3). Il complesso montano, nella sua interezza, rientra nelle Rete Ecologica Regionale quale nodo secondario da cui si originano le principali connessioni ecologiche con le residue aree naturali del Tavoliere e con le aree umide presenti sulla costa adriatica.
Il territorio è attraversato da numerosi tratturi e tratturelli che vanno intersecandosi e che sono testimonianza delle storiche vie erbose della transumanza, antica attività che ci insegna che qui i pastori abruzzesi transitavano insieme alle greggi alla ricerca di un clima più mite di quello aquilano, passando per borghi e piccoli centri. Tratti lunghi e brevi, tratturi che ancora oggi raccontano la storia di un’antica civiltà vocata alla pastorizia.
La via erbosa entra in Puglia in corrispondenza dell’agro di Celenza Valfortore, procedendo dal territorio di Tufara, in Molise. Il Tratturo procede quindi verso la destinazione di San Giusto attraversando i territori di San Marco la Catola, Volturara Appula, Motta Montecorvino, Volturino, e Alberona, dove qua e là si trovano ancora resti di antiche taverne e di vecchi e dismessi mulini. E ancora oggi, le attività agro-pastorali contraddistinguono una zona dall’aspetto prevalentemente a vocazione rurale e pastorale, che continua a produrre prodotti genuini, frutti della terra, cibi poveri ma ricchi. Ecco, dunque, l’olio extravergine d’oliva, il pane, formaggi e salumi. Le produzioni locali fanno della cucina contadina dauna una esperienza di storia e di tradizione che si tramanda da nonni a nipoti e poi continua a rigenerarsi: gli asparagi selvatici, il maialino nero autoctono, la coltivazione di qualità pregiate di grano, come il Senatore Cappelli e l’Armando.
Vitigni autoctoni sono quelli del Nero di Troia o il Tuccanese.
Tra le eccellenze del territorio non si può non annoverare il tartufo dei boschi di Biccari e di Roseto Valfortore, il caciocavallo, il prosciutto e il lardo di Faeto. Ma non mancano salsicce, capicollo, soppressata, fagioli e cicerchie, oltre alla rara e acidula mela limoncella. Nella tradizionale cucina dauna troviamo altresì le locali erbe spontanee come la rucola, il cardo, il tarassaco, la senape, il cardillo, l’ortica, le cime di rapa. Inoltre, erbe aromatiche come il timo, l’origano, l’aneto, la menta, il rosmarino, riescono a rendere l’aria gradevolmente profumata in determinati periodi dell’anno e in particolari condizioni atmosferiche, Queste erbe un tempo venivano utilizzate soprattutto per fini terapeutici, e che oggi accompagnano ottimi piatti tipici della gastronomia del luogo.
Tradizionale è la raccolta dei chicchi di grano rimasti a terra dopo la mietitura e la bruciatura delle stoppie; chicchi che in passato venivano arsi e macinati. Anche la farina che ne derivava veniva mescolata a quella bianca. Era questo un buon metodo, per i contadini, di ottenere un prodotto dal costo ridotto. Oggi la farina di grano arso viene ottenuta dalla tostatura dei chicchi, con un risultato dal gusto molto intenso.
Una curiosità del territorio dauno riguarda le minoranze linguistiche. In due piccoli comuni, Faeto e Celle di San Vito, si parla una lingua diversa dall’italiano e dal dialetto foggiano, il francoprovenzale. Non si conosce il motivo per cui esistano queste minoranze linguistiche, ma si presume che siano stati dei soldati francesi con le loro famiglie al tempo degli Angioini, nel XIII secolo, a dare vita a tal fenomeno. Da allora il francoprovenzale si è mantenuto intatto ed è stato oggetto di svariati studi. L’impiego della lingua fu davvero prevalente fino al primo Novecento. Addirittura, negli anni Ottanta del secolo scorso si potevano trovare ancora alcuni abitanti monolingui. Oggi, invece, i cittadini di questi due centri conoscono sia il dialetto foggiano che la lingua italiana. In ogni caso, nel 1999 sono state riconosciute ufficialmente le due minoranze linguistiche.
Non sono, però, una rarità della zona: a Chieuti e a Casalvecchio di Puglia, come nel vicino Molise, precisamente a Campomarino, Montecilfone, Portocannone e Ururi, ci sono comunità albanesi (Arbëreshë). Minoranze croate in Molise, altresì, sono a Montemitro, Acquaviva Collecroce e San Felice del Molise. Anche in questi casi, le ragioni sono da ricercare in fenomeni di emigrazione di massa.
Giornalista