Provvidenti è uno dei più piccoli borghi del Molise, che conta circa cento anime, a ridosso del passaggio del tratturo Celano-Foggia, in provincia di Campobasso. Secondo una leggenda, il paesello sorge sul granaio della città italica di Gerione, distrutta da Annibale Barca nel III secolo a.C., durante il suo passaggio in Italia, nella guerra contro Scipione Africano.
Il fosso del paese era noto, sin dall’antichità, come luogo ideale per scavare le messi, motivo per cui il villaggio fu chiamato Provvidentiae.
Si affaccia su una vallata, a guardia di un lussureggiante territorio che ospita una nutrita biodiversità. È un borgo dal fascino indescrivibile, con il suo impianto prettamente rurale, abitato prevalentemente da pastori o contadini, la cui quotidianità è scandita dai ritmi della vita di campagna, con caratteristici vicoli e case semplici intervallate, qua e là, da qualche palazzo signorile.
Due sono le chiese del paese: la chiesa di Santa Maria Assunta, medievale, documentata dal XIII secolo, ha un’unica navata con ben quattro altari. Della sua costruzione antica resta la torre campanaria del XIV secolo.
Il santuario di Nostra Signora della Libera fu costruito nel XVIII secolo, per un avvenimento miracoloso della statua della Madonna, realizzata in legno di fico. Sembra che questa andò dispersa, finché non fu ritrovata dagli abitanti del paesello in località Ponte Grosso, detto oggi “Campo della Madonna”. Si tratta di una chiesa in stile neoclassico rurale, anch’essa a unica navata, ma con un solo altare principale, dedicato alla Madonna della Libera.
Provvidenti è patria indiscussa del culto di San Nicola di Bari, molto sentito in Molise, nell’intero territorio sannita, in Italia, nel mondo intero. Un santo la cui immagine ci riporta a un antico e genuino piatto della tradizione contadina: pane e fave. Un importante riconoscimento a questo pasto viene dato persino da Giovanni Verga, che quando parla delle zone del sud Italia mai si riferisce a tavole imbandite e cibi abbondantemente conditi, magari accompagnati da un buon bicchiere di vino.
Verga racconta di una zona in cui regnava la fame, una realtà povera, in cui non importa che il cibo sia ben cotto, ma che esso sia presente, quotidianamente. Pane ammuffito, prodotti della terra, qualunque cosa purché vi fosse.
Pane e fave era un piatto dal sapore della semplicità, della vita genuina e umile, quella che ancora caratterizza i piccoli borghi che resistono e non si arrendono. Un piatto molto amato anche da Mastro Don Gesualdo. Una minestra di fave novelle, che gli preparò anche l’amata Diodata, con “una cipolla in mezzo, quattro uova fresche e due pomodori che era andata a cogliere dietro casa”. Dunque, carboidrati, proteine e legumi ricchi di ferro, acqua e fibre, che per molti anni ha regnato sulle tavole delle popolazioni più umili.
Nei tempi più antichi per strada era frequente incontrare venditori ambulanti che preparavano il classico cozzetto di pane con fave calde. È una tipicità del borgo di Provvidenti che viene cucinata proprio in occasione della celebrazione dell’amato San Nicola. Anzi. Già durante la notte del 5 dicembre, le poche famiglie del paese si riunisco intorno a un calderone che sprigiona un inconfondibile odore. Esso viene posizionato su un treppiede riscaldato da una leggera fiamma, grazie alla quale è possibile sentir bollire le fave immerse in olio d’oliva, possibilmente extravergine, dall’accattivante profumo di aromi freschi e intensi. Si aspetta insieme fino al mattino del 6 dicembre, quando, dopo la benedizione del pane, si accorre tutti dinanzi lu cavdar per rifocillarsi. Il pane poi viene distribuito nelle case, come fosse un dono del Santo al suo popolo. Gusti e tradizioni di un tempo che richiama la semplice vita che fu. E che in alcuni casi ancora è.
Giornalista