Accadde oggi: 15 marzo, le Idi e la congiura di Giulio Cesare

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Il dictator morì ai piedi della statua di Pompeo, suo nemico nella Guerra Civile

Il 15 marzo del 44 a.C. presso la Curia Pompeo, sede provvisoria del Senato distrutto da un incendio, si consumò la fine del dictator Giulio Cesare, a opera di un gruppo di circa venti senatori che si consideravano custodi e difensori della tradizione e dell’ordinamento repubblicani e che, per loro cultura e formazione, erano contrari a ogni forma di potere personale. Questi temevano che Cesare ambisse a diventare re di Roma, per cui circa 60 o 80 senatori, guidati da Gaio Cassio, Marco e Decimo Bruto, congiurarono per uccidere il dittatore.
Stando alle fonti, alle 11 Cesare uscì di casa senza scorta e percorse la Via Sacra tra due ali di folla acclamante. Arrivato nella Curia, mentre Trebonio, un congiurato, tratteneva il generale Marco Antonio con una scusa, il dictator venne circondato dai cosiddetti cesaricidi. Cesare fu ferito, colpito con un pugnale da Publio Casca: “Scelleratissimo Casca, che fai”?, reagì lui, colpendolo a sua volta. Quando gli altri congiurati gli furono addosso, e quando vide brillare la lama del “suo” Marco Bruto, Cesare cadde ai piedi della statua di Pompeo, suo nemico nella guerra civile del 49 a.C., e morì.

Di sicuro Cesare non pronunciò la famosa frase “Tu quoque, Brute, fili mii”. Lo scrittore latino Svetonio riferisce che, morendo, Cesare disse in greco “καὶ σὺ τέκνον”;, “kai su teknòn”?, “anche tu, figlio”?, perché quella era la lingua dell’élite romana. Ma questa versione dei fatti è poi stata messa in dubbio dallo stesso Svetonio, secondo il quale Cesare, in quel fatidico giorno delle Idi di marzo del 44 a.C., emise solo un gemito, senza riuscire a proferire parola.