
“Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera“.
Tra le poesie più intense e celebri del Novecento italiano c’è senza dubbio Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo. Pochi versi, appena tre, eppure capaci di racchiudere l’essenza fragile e profonda della condizione umana. Quasimodo, premio Nobel per la Letteratura nel 1959, con questa lirica consegna ai lettori una riflessione sulla solitudine, sulla precarietà dell’esistenza e sull’inesorabile scorrere del tempo.
La struttura è essenziale, quasi aforistica, ma dietro quella semplicità apparente si nasconde una complessità filosofica potente. Ogni parola sembra scolpita con la precisione di chi conosce il valore assoluto della sintesi: ognuno sottolinea la solitudine irriducibile dell’essere umano, sta solo richiama una condizione esistenziale universale, mentre il cuor della terra ci riporta a una dimensione materica e simbolica, in cui l’uomo è radicato ma allo stesso tempo fragile e vulnerabile.
Il raggio di sole che trafigge è immagine ambivalente: luce che illumina, consapevolezza che arriva improvvisa, ma anche ferita che segna e cambia per sempre. La chiusa, ed è subito sera, ha la forza di un epitaffio, un lampo che riassume la brevità della vita e il suo ineluttabile destino.
A distanza di decenni, questi tre versi continuano a parlarci come se fossero stati scritti oggi, ricordandoci quanto sia effimero il nostro passaggio e quanto preziosa sia ogni luce che attraversa il nostro cammino, anche quando fa male. È una poesia che, personalmente, ogni volta lascia addosso quella malinconia dolce e necessaria che solo le parole giuste sanno custodire. Perché alcune sere arrivano all’improvviso, ma certi versi restano.