Nel 1892 l’inglese O’Clery, nel suo volume The making of Italy, scrisse: «The history of the “Brigandage” has never been written, and perhaps never will be written.», cioè «La storia del Brigantaggio non è stata mai scritta, e forse non sarà mai scritta.». Come ben si sa, infatti, la storia è scritta sempre dai vincitori e quindi anche in Italia la storiografia ufficiale è stata caratterizzata dall’epopea risorgimentale: dalle verità ufficiali di Stato è sempre bene stare alla larga, scrive l’Autore. Naturalmente, che vi sia una controstoria è cosa legittima se non addirittura dovuta, come, ad esempio, è stato fatto da Pansa con “Il sangue dei vinti”, non capovolgendo la storia, bensì dando luce a fatti che, pur non conosciuti dalla massa, erano tali da far comprendere meglio ciò che accadde effettivamente in Italia nel secondo dopoguerra del secolo scorso.
Ebbene, anche a proposito della retorica risorgimentale si assiste, da molti anni ormai, a una sorta di revisionismo che, però, ha molto di propagandistico ma nulla di idoneo ad una seria messa in discussione dei fatti in sé e della questione meridionale in generale. Ed è proprio per questo che ha avuto successo perché si è rivolto alla cosiddetta “pancia” dei meridionali, risvegliando sentimenti di rivalsa nei confronti di un Nord, ritenuto, a torto, l’unico responsabile di tutto ciò che è accaduto nel Mezzogiorno d’Italia dopo l’unificazione.
Il caso forse più emblematico del citato revisionismo è proprio quello dell’eccidio di Pontelandolfo, il cui antefatto trova posto addirittura in una raccolta di novelle del De Amicis (quando il colonnello Negri presso Pontelandolfo vedeva appese alle finestre, a modo di trofei, membra sanguinose di soldati).
Ed è proprio la ricostruzione di quanto accaduto a Pontelandolfo il soggetto dell’ultima fatica letteraria di Giancristiano Desiderio in cui, a dispetto della cosiddetta “vulgata”, mediante un processo razionale e non emozionale, si smonta la teoria di un eccidio senza pari che sarebbe avvenuto in quel Comune. Prova ne sono le brevi pagine dell’«Epilogo», in cui, con mirabile sintesi, viene ricostruita tutta la storia senza orpelli e fronzoli inutili, ma con asciutta serietà.
Invero, è da osservare che la consultazione dei testi ottocenteschi, se da un lato conferma il massacro dei 41 soldati che, come giustamente ricordato da Marco De Marco sul Corriere del Mezzogiorno, non erano più piemontesi ma dell’ormai esercito italiano, dall’altro, non fornisce un quadro certo di quanto realmente sia accaduto nei giorni successivi nei paesi di Pontelandolfo e Casalduni. E, in particolare, sul numero dei morti.
L’autore, invece, in base a una documentazione molto affidabile, e in parte anche di recente acquisizione, ricostruisce gli accadimenti con una esatta cronologia e giunge a conclusioni diametralmente opposte a quelle della “vulgata”: non si tratta di centinaia o addirittura migliaia di morti, bensì di 13.
La cosa buffa assai è che anche da parte delle massime autorità nazionali si è dato corda a un filone narrativo che non serve né alla verità né al riscatto del Sud, ma solo a testimoniare un fatto molto noto e già citato in abbrivio, ossia la presenza di un esteso movimento brigantesco. È accaduto così che, non potendo essere presente il Capo dello Stato, all’epoca Napolitano, il più alto rappresentante delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità, Giuliano Amato, venne a Pontelandolfo il 14 agosto 2011 per chiedere scusa. In effetti, al di là del senso di colpa dei pontelandolfesi per il massacro dei soldati, ben spiegato peraltro dall’autore, ritengo, e questa è la mia personalissima opinione, che ci siamo fatti prendere in giro per l’ennesima volta: ma sì, accontentiamoli, tanto…
Comunque, il motivo che fa accogliere e condividere la versione di Desiderio non è la già conosciuta ricerca del padre francescano Davide Fernando Panella, quanto la concatenazione logico-temporale effettuata dall’autore. In concreto, il fatto per così dire “nuovo” è dato dal telegramma di Cialdini che sposta tutti i termini della questione e permette di fornire una versione non romanzata degli accadimenti, ma dovuta a un susseguirsi di eventi frutto più del caso che di una volontà preordinata, attribuita erroneamente al famigerato Jacobelli. Insomma, tutta un’altra storia.
Desiderio, senza indulgere alla facile demagogia ma esaminando meticolosamente tutti i lati della vicenda, mette in ordine i fatti e non le fantasie perché, scevro da secondi fini, è mosso dall’istinto dello studioso che non piega, non svaluta, non censura i documenti senza i quali la storia è o muta o falsa.
Insomma un libro per chi vuole conoscere e non polemizzare, che, oltretutto, lo stile piano e scorrevole dell’autore rende anche facile da leggere.
Luigi Ruscello