Un grande passo avanti per la nostra democrazia: l’1 dicembre 1970 l’ordinamento giuridico italiano introdusse la Legge Fortuna-Baslini, ovvero la n. 898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, elaborata da Loris Fortuna e da Antonio Baslini. Fu molto lungo, tortuoso e non facile il percorso che portò a questo risultato. Già in passato, il divorzio arrivò in Italia con il Codice di Napoleone che consentiva di sciogliere i matrimoni civili, era appena cominciato il 1800. In quel caso, i coniugi per separarsi dovevano avere l’approvazione dei genitori e dei nonni. Nel 1902, con il Governo di Giuseppe Zanardelli fu elaborata una direttiva che prevedeva il divorzio solo in caso di adulterio, di lesioni al coniuge e anche di condanne gravi. Purtroppo, però, non venne approvata e addirittura questo tema rimase nel dimenticatoio più di trent’anni in cui l’Italia rimase senza una legislazione in materia. Nella seconda metà degli anni Sessanta cominciarono le prime mobilitazioni sociali; era il 1965 quando il deputato socialista Loris Fortuna presentò alla Camera un progetto di legge per il divorzio e cominciarono anche le prime manifestazioni di piazza del Partito Radicale e della Lega italiana per l’Istituzione del Divorzio, la LID.
Il 1° dicembre 1970 i Radicali, il Partito Socialista Italiano, il Partito Comunista Italiano e il Partito Liberale Italiano approvarono la Legge e, cosa ovvia, contraria fu soltanto la Democrazia Cristiana. Fu questo l’inizio di una grande e importante trasformazione sociale del Paese anche se l’Italia cattolica antidivorzista non si rassegnò chiedendo il referendum, affinché fossero direttamente i cittadini a esprimere le loro volontà. Ma passarono più di tre anni e il 12 maggio 1974 l’Italia fu chiamata alle urne per votare l’abrogazione o meno della Legge Fortuna-Baslini. L’87,7% degli italiani aventi diritto al voto si recò, con grande fervore, alle urne e con circa il 60% dei voti favorevoli al NO la legge non fu abrogata.
Una rivoluzione soprattutto per le donne che videro riconosciuto il diritto di scegliere come e con chi vivere. Infatti, se facciamo un lungo balzo indietro e arriviamo fino dell’antichità, a farla da padrona era la dote, ossia i beni con cui una donna passava dalle mani del padre a quelle del marito: terreni, case, beni mobili e anche schiavi. Più ricco era il premio in palio, più alte erano le possibilità di contrarre un buon matrimonio. Divorziare era possibile, ma in quel caso la donna “cambiava padrone” tornando sotto la potestà paterna con i suoi beni che erano l’unica fonte di sostentamento. Se invece veniva colta in flagranza di adulterio, veniva rispedita a casa senza la dote. Tra gli antichi egizi, le donne godevano di una certa indipendenza: quando si sposavano continuavano a disporre dei loro beni e li mantenevano anche in caso di divorzio, perché davanti alla legge avevano gli stessi diritti e i medesimi doveri degli uomini. Non era così nell’antica Roma, in cui a disciplinare il divorzio, frequentissimo durante la Repubblica, fu Augusto: la donna che tradiva durante il matrimonio veniva punita con la confisca della metà della dote e l’esilio su un’isola e la stessa sorte toccava all’amante, ovviamente esiliato su un’isola differente. Le regole si inasprirono ancora di più con il Cristianesimo: se abbandonata o ripudiata, la donna poteva scegliere se tornare a casa o chiudersi in convento e se era lei la fedifraga veniva cacciata senza un soldo. Ovviamente bisognava essere membri di una famiglia molto in vista per avere delle agevolazioni, come fu nel caso di Lucrezia Borgia a cui non solo fu concesso di divorziare ma anche di riposarsi.
La legge 1 dicembre 1970, in seguito fu modificata dalle leggi 436/1978 e 74/1987, e con quest’ultima il periodo di separazione fu ridotto da cinque a tre anni. Fu rivista nel mese di febbraio del 2012 in cui la Commissione Giustizia della Camera disse il primo sì al testo sul divorzio breve secondo il quale i coniugi avrebbe dovuto attendere un anno o massimo due in caso di figli minorenni della coppia. Il divorzio breve entrò ufficialmente in vigore il 22 aprile 2015, con il tempo di separazione ridotto a sei mesi o un anno.
Giornalista