Scene, momenti, drammi che non dimenticheremo mai. Specialmente non lo farà ogni sannita o chi, in quel frangente, era nel Sannio. A causa di una bomba d’acqua che, durante la notte, travolse la Campania intera, il 15 ottobre 2015 il fiume Calore esondò, sommergendo Benevento con un’alluvione: la città capoluogo della provincia sannita si risvegliò coperta di detriti e di fango. Le cause principali furono le abbondanti piogge cadute sul terreno sannita, arrivato a saturazione, con il terreno che non riusciva più ad assorbire altra acqua, e la presunta apertura della diga di Campolattaro, sul fiume Tammaro, il corso d’acqua che ha creò maggiore scompiglio alle popolazioni del beneventano. Il fiume raggiunse livelli di piena inauditi e con l’eccezionale piena del Calore mise in ginocchio il capoluogo del Sannio e diversi comuni limitrofi. Interi paesi rimasero isolati, molti seriamente danneggiati. Benevento venne sommersa in alcuni suoi punti: Ponticelli, Rione Ferrovia, Ponte Valentino, Santa Clementina, sott’acqua finirono anche le scuole. In alcune zone della città l’acqua raggiunse anche i 4 metri, spazzando via tutto ciò che aveva incontrato sul suo percorso. Tante le famiglie che si videro costrette a salire sui tetti per rifugiarsi e per mettersi in salvo fino all’arrivo dei soccorsi. Nell’intera provincia, dove la produzione vitivinicola si aggira intorno al 50% di quella di tutta la Campania, furono molti gli ettari di vigneti distrutti. Innumerevoli le pietre che piovvero dal Taburno e che in un attimo spazzarono via la speranza di un raccolto. Un anno di lavoro buttato al vento. O al fango. Melma e fango ricoprirono le strade e i campi, e tante aziende agricole videro in miseria il loro duro lavoro. Un danno stimato da Coldiretti intorno ai 120 milioni di euro: 50 per il settore vitivinicolo e 50 per le altre produzioni.
Ricordiamo anche il Pastificio Rummo devastato dall’acqua che sorprese i venti operai del turno notturno, costretti a rifugiarsi sui tetti per salvarsi e poi raggiunti dai sommozzatori della Protezione Civile. I locali erano inagibili, i macchinari irrimediabilmente danneggiati, una situazione certamente molto grave che vedeva, inoltre, tonnellate di grano sommerse dall’acqua. Con la campagna #saverummo la Campania intera, ma anche l’Italia, si mobilitarono, aiutando lo storico pastificio sannita. L’acqua devastò tutto, spazzò via interi manufatti industriali, entrò addirittura tra le botti che conservavano i vini doc della Cantina di Solopaca la quale, per fortuna, non si perse d’animo e si reinventò con un’idea di marketing partorita da due giovani sanniti, Salvatore Ferri e Almerico Tommasiello, che produsse la campagna #sporchemabuone, introducendo sul mercato le bottiglie salvate dall’alluvione ma sporche di fango.
Per fortuna, in città, così come in provincia, oltre all’acqua e al fango nelle strade, vi fu una grande pioggia solidale di tantissimi volontari. Giovani sanniti, tifosi del Benevento, migranti, studenti Erasmus, indossarono gli stivali di gomma per apportare il proprio aiuto con pale, secchi e ogni genere di aiuto. I primi giorni salì una grande rabbia, soprattutto da parte dei cittadini, seguita poi a ruota da quella degli imprenditori e degli agricoltori ribattezzata “la protesta dei 200 trattori”. Coordinarono gli aiuti, in quel momento critico e drammatico, la Protezione Civile e la Caritas che, nei primi giorni, fornì circa 7 mila pasti, smistò 559 volontari, assistette 100 famiglie durante le operazioni di spalamento del fango, 40 famiglie con il Centro d’Ascolto e nelle settimane successive promosse nuovi progetti come #fuoridalfango. Le vittime furono due: una signora settantenne di Pago Veiano che fu travolta dalle acque. La seconda vittima ebbe la peggio a causa della piena del Calore: era un uomo di Montesarchio, che tentando di liberare lo scantinato dal fango, fu travolto.
Giornalista