Mancavano pochissimi giorni per entrare ufficialmente nella stagione estiva, Roma festeggiava il suo secondo scudetto. Aria di festa nella capitale. Era il 17 giugno 1983, quando alle prime ore del mattino i telegiornali vennero monopolizzati da una notizia incredibile: Enzo Tortora, amato e popolare conduttore di Portobello, fu arrestato con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. La chiamarono Operazione Portobello che portò in galera altre 855 persone. Tortora fu condotto al Regina Coeli, un caso che nel giro di poche ore divenne mediatico. Venne costretto a sfilare ammanettato tra fotografi e operatori televisivi. Per lui cominciò un vero e proprio inferno. Alcuni giornalisti cominciarono, senza conoscere i fatti, ad accusare Tortora: non si ammanetta qualcuno, nel cuore della notte, se non vi fossero veri presupposti. Enzo Biagi, invece su Repubblica, si schierò contro gli aguzzini della prima ora con uno storico editoriale intitolato “E se Tortora fosse innocente?”. Le accuse all’amato presentatore furono mosse da due pentiti della criminalità organizzata, Pasquale Barra e Giovanni Pandico, a cui si aggiunsero altri collaboratori . A confermare le ipotesi di reato, tra gli altri indizi, anche un’agendina con il suo nome, dove, in realtà, era scritto Tortona e non Tortora. Il primo di una lunga serie di errori, di mancanza di riscontri, notizie false, che diedero origine a uno scandalo vergognoso. Tre mesi dopo, il presentatore fu condannato a dieci anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di stupefacenti. In appello, un anno dopo, fu ribaltata la sentenza: assolto in formula piena.
Tornò a presentare Portobello il 20 febbraio 1987, aprendo la trasmissione visibilmente emozionato e segnato dal suo calvario, con un breve discorso, parole mai dimenticate: “Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo grazie a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo sono anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi; sarò qui, resterò qui, anche per loro”. Tortora era un uomo elegante, colto, competente, ironico. Aveva un garbo che è difficile trovare nella televisione di oggi. Si concluse in anticipo, causa malattia, la conduzione del suo ultimo programma televisivo intitolato Giallo, andato in onda nell’autunno 1987 su Raidue. Enzo Tortora morì a 59 anni la nel maggio del 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare. Al suo funerale parteciparono amici e colleghi tra i quali Marco Pannella, Enzo Biagi, Piero Angela. Le sue ceneri riposano al Cimitero Monumentale di Milano, in una zona ospitante cellette con ceneri o resti esumati di “cittadini noti e benemeriti”. Tra le sue disposizioni testamentarie vi fu quella di porre le sue ceneri in una cassettina assieme a una copia del libro di Alessandro Manzoni, Storia della colonna infame, nell’edizione con prefazione di Leonardo Sciascia, testo che tratta di uno dei primi casi documentati di giustizia sbagliata in Italia.
Giornalista