Sono trascorsi quindici anni, ma è sempre vivo il ricordo, nei fedeli di tutto il mondo, del vescovo di Roma, il papa di tutti, San Giovanni Paolo II, grande figura del Novecento e di questo inizio di XXI secolo, testimone della dolorosa storia europea del secolo scorso. Il papa che si è mosso sullo scenario globale e che ha saputo intuire il sempre più significativo ruolo che le religioni avrebbero svolto nel futuro. Nel 2003, ormai anziano e malato, Giovanni Paolo II disse al corpo diplomatico radunato in Vaticano: “Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in sé stesso il proprio potenziale di fede. È dunque possibile cambiare il corso degli eventi”. Questa è stata sempre la sua fiducia.
Morì il 2 aprile 2005, circondato dalla sua gente, i suoi amici, i suoi figli, senza nulla nascondere della sua agonia, della malattia che prendeva il sopravvento. E negli ultimi momenti della sua vita tutti lo abbiamo amato di più. Il triste evento dell’anno fu una morte che diventò festa, lacrime che si tramutarono in applausi, uno strappo che si fece presenza per sempre. L’annuncio della morte colpì come un pugno la folla immensa di piazza San Pietro: oltre centomila fedeli che, improvvisamente, dopo giorni di canti, cori, dopo tante voci di ragazzi per ore e ore levatesi a chiamare per nome il Papa, festosamente, in una veglia divisa fra la tristezza e letizia, accolsero quell’annuncio doloroso. L’applauso, e poi un istante di silenzio su San Pietro, molti piansero e da allora non dimenticano.
Giornalista