Nacque in un luogo e in un tempo imprecisato, tra il 29 agosto e il 2 settembre 1840, in una contrada della campagna del catanese, e molti dicono, senza prove certe, a Vizzini, in una Sicilia tradizionalista, conservatrice e contadina, dalle forti connotazioni rurali, che fu scossa improvvisamente da repentini mutamenti politici e sociali. Giovanni Verga si vergognava delle proprie origini “villane”, e da autodidatta si formò con i celebri naturalisti Dumas e Zola. Tentò per tutta la vita di rifuggire dal suo status, abbandonando la sua terra e le sue radici, cui costantemente tornò con l’immaginazione facendola diventare sfondo dei suoi capolavori letterari, in favore di città più grandi e moderne, come Firenze o Milano. In ‘Ntoni de I Malavoglia o nel Mastro Don Gesualdo la personalità di Verga tenta fino alla fine di innalzare la sua condizione sociale. C’è molto di lui, infatti, nei suoi personaggi: un uomo che crede di poter cambiare la propria situazione di miseria a cui, invece, appartiene. Fu questa insoddisfazione a portarlo verso una depressione causata dalla morte della madre, dai problemi finanziari, e dall’andamento altalenante della critica letteraria, fino a che decise di abbandonare la letteratura proprio nel momento in cui si stava apprestando a completare il Ciclo dei Vinti, dopo I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo.
E Verga si sentiva un vinto, sconfitto da una società in costante e troppo rapida evoluzione, una società incomprensibile e deleteria, scegliendo la strada di un Verismo alla francese e il conseguente interesse per le dinamiche sociali, con una forte critica alla società contemporanea. Egli stesso era un vinto che riuscì comunque a riscattarsi, basti vedere la straordinaria popolarità che ha avuto nel corso degli anni. L’ideologia che sta alla base della sua letteratura è una personale ripresa della scientificità, dell’impersonalità e del positivismo dei naturalisti, che si protraggono verso un pessimismo senza alcuna speranza di miglioramento sociale. Ai suoi personaggi umili è negata quasi ogni speranza, negando che una vera felicità sia presente o raggiungibile anche da parte degli appartenenti alle classi ricche, data la rappresentazione che egli ne fa sia nei romanzi non veristi, sia in alcune parti del Ciclo dei Vinti e delle novelle. Solo alcuni valori, come la famiglia, il proprio ambiente e il lavoro riescono a far trasparire un po’ di serenità.
Giornalista