Il 23 agosto 1939 Stalin e Hitler si strinsero la mano, con un patto che diventò fatale per tutto il mondo. Un patto di non-aggressione, firmato al Cremlino dai due ministri degli esteri, Molotov e Ribbentrop, che in realtà era un patto di aggressione al resto del mondo. Stalin brindò col ministro tedesco alla salute del Führer e all’amicizia tra i due regimi e, un mese dopo, seguì un ulteriore patto di amicizia. Un patto che rimase vivo per un paio d’anni e che permise di spartirsi la Polonia, consentendo alla Germania di invadere i paesi vicini e dichiarare guerra alle plutocrazie occidentali. Quel patto non riguardò solo i due dittatori, ma coinvolse i regimi, i partiti, gli apparati, la propaganda.
L’intesa bilaterale stabiliva l’astensione da ogni violenza reciproca, la benevola neutralità nel caso di impegno bellico di uno dei contraenti, l’impegno di entrambe le parti a non partecipare a raggruppamenti ostili all’altra. Entrambe le potenze erano uscite sconfitte dalla Prima Guerra Mondiale: la Germania si assemblò nella fragilissima Repubblica di Weimar, mentre la Russia zarista si convertì al Leninismo e dal 1917 si concentrò sulla politica interna. Il patto fu l’occasione per entrambi i firmatari di diventare i padroni di gran parte dell’Europa: la Germania giustificava annessioni e invasioni territoriali con la scusa del Lebensraum, lo spazio vitale; l’Unione Sovietica non vedeva l’ora di riappropriarsi delle preziosissime terre di Finlandia, Lituania, Lettonia ed Estonia (le repubbliche baltiche erano diventate tali nel 1918). Già a partire dagli esiti dei due firmatari del patto s’intuirono, nel 1945/1946, le pieghe che presero le vicende occidentali degli anni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale. Il Ministro Ribbentrop fu condannato a Norimberga il 16 ottobre 1946: fu il primo dei grandi nazisti a essere impiccato. Molotov morì, in tutta tranquillità, nella sua adorata Mosca, all’età di novantasei anni.
Giornalista