
Furono ammassate oltre i limiti della sopravvivenza per giorni sui treni speciali, o su camion coperti, di mattina presto, al freddo e al buio, quando non c’era in giro nessuno
Il 26 marzo 1942, presso il campo di concentramento di Auschwitz, fu aperta anche una sezione femminile, poi collocata in un settore di Auschwitz-Birkenau denominato BI. In tutto furono immatricolate circa 405mila persone, di cui 32mila donne, ma dato che molte migliaia di deportati non furono registrati, è difficilissimo stabilirne il numero complessivo reale. Le internate, in genere, erano obbligate a lavorare nelle industrie che, in quantità crescente, vennero aperte nei pressi del campo di sterminio.
Furono recluse anche donne Rom, di nazionalità polacca o slave, donne attive nella Resistenza al nazifascismo in ogni paese e donne con disagi fisici o psichici prelevate dagli istituti in cui erano ricoverate. Furano ammassate oltre i limiti della sopravvivenza per giorni sui treni speciali, o su camion coperti, di mattina presto, al freddo e al buio, quando non c’era in giro nessuno.
Le madri furono separate dai figli, le figlie deportate insieme alle madri, senza la possibilità di aiutarsi; le donne che divennero madri in lager, ben presto videro i loro figli assassinati o morire di stenti. Alcune furono vittime degli esperimenti chirurgici, altre invece furono costrette alla prostituzione.
Veniva loro consegnato vestiario maschile, mutande senza elastici, calze che si ripiegavano sulle gambe, ma nessun materiale per tutelare l’igiene personale durante le mestruazioni, fino a che, a causa della scarsa alimentazione, della qualità del cibo e dell’estenuante lavoro, il flusso si bloccava per la maggior parte delle prigioniere.