Quando la 60esima armata dell’esercito sovietico arrivò al campo si trovò dinanzi uno scenario desolante, raccapricciante
Il 27 gennaio 1945 fu il giorno in cui i cancelli di Auschwitz furono abbattuti dalla 60esima armata dell’esercito sovietico e si poté finalmente gridare la parola “libertà”, dopo anni di barbarie e stermini.
Il campo di concentramento di Auschwitz, non molto distante da Cracovia, era purtroppo rinomato per tutte le follie che vi si svolsero fino ad allora, nei pressi di quelli che all’epoca erano i confini tra la Germania e la Polonia. Già nella metà del mese di gennaio, le SS cominciarono a evacuare il campo, in quanto procedeva l’avanzamento dell’Armata Rossa. Ben circa 60 mila prigionieri vennero fatti marciare prima dell’arrivo dei russi, e si stima che di questi, un altissimo numero che va dai novemila ai quindicimila, andò incontro alla morte durante il tragitto, la maggior parte dei quali uccisi dalle SS perché non riuscivano a reggere i ritmi mostruosi della marcia. Altri prigionieri, circa novemila, furono lasciati nel complesso di campi di concentramento perché malati o esausti. Le intenzioni delle SS erano quelle di liquidarli, ma non ebbero il tempo necessario per farlo prima dell’arrivo dei sovietici.
Le SS, piuttosto, riuscirono a eliminare tante delle prove dei crimini fino ad allora commessi, facendo esplodere diverse strutture, alcune delle quali contenevano i forni crematori industriali, dove trovarono un’atroce fine molti prigionieri, senza distinzione di sesso e di età. Fecero saltare in aria anche altre proprietà delle vittime dello sterminio. Quando la 60esima armata dell’esercito sovietico arrivò al campo principale di Auschwitz, intorno alle 3 del pomeriggio, dopo una battaglia in cui persero la vita più di 200 sovietici, si trovò dinanzi uno scenario desolante, raccapricciante.